Questa città, figlia del Vesuvio, spesse volte
orribilmente danneggiata, alcune altre quasi per intero distrutta, risorse
sempre più fiorente di prima. Nel 1699 si riscattò dal dominio feudale,
per virtù del suo popolo, sempre fiero nel sentimento della propria
indipendenza. Ogni anno in Giugno, colla festa religiosa se ne commemora
pomposamente il ricordo, con tappeti a fiori naturali, storici per la loro
bellezza, e artistici altari[46]. L’aspetto di Torre del Greco è come
di una grande città, con ampie e regolari strade e sontuosi edifici.
Dista dodici chilometri da Napoli e può considerarsi come il suo limite
orientale.
La maggior parte delle sue case, erette sul bitume vulcanico - sotto cui
un’altra città si trova sepolta - la mantengono asciutta e preservata
da ogni umidità[47]. Torre del Greco e la villeggiatura più amena e
frequentata dalla provincia, e gli infermi vengono da ogni parte a
riacquistare, nella mitezza del suo salubre clima, la perduta sanità del
corpo[48].
Sin dai tempi più remoti Torre del Greco era stazione balneare e di
salubrità, come lo prova la terma (Tav. 29), rinvenuta ivi dall’illustre
colonnello Giuseppe Novi nel 1881, che fu sepolta colla stessa eruzione
che, nell’anno ’79 distrusse Ercolano e Pompei, e che qui abbiamo
riprodotta dal pittore Nicola Ascione.
L’artista interpreta la testimonianza di un passato ormai sepolto con la
sua abituale capacità di sintesi e resa pittorica e la sua volontà di
riprodurre fedelmente elementi architettonici e decorativi, penetrare nell’essenza
delle cose e filtrare attraverso i sentimenti il rigore dei suoi impianti
prospettici[49]. Dell’antica terma rimaneva solo un complesso di ruderi
con celle semicircolari in due ordini sovrapposti con resti di dighe ed
avanzi di acquedotti, di serbatoi, di pavimenti a mosaico[50].
L’attività marinaresca, l’industria e la pesca del corallo e delle
spugne, rendono la città produttrice e commerciale nello stesso tempo e
proprio per questo motivo la zona della marina è sempre stata tra le più
popolose e movimentate. La pesca in autunno si fermava quando il vento di
ponente si faceva sentire più forte come vediamo in un’antica stampa
del XVIII secolo con Torre del Greco vista dal mare e barche in balia del
vento (Tav. 30). Il 7 Ottobre, giorno dedicato alla Vergine del Rosario,
come voleva la tradizione, si doveva smettere di pescare e far ritorno a
Torre[51].
La zona della marina è ben raffigurata nel bellissimo quadro di Frans
Vervloet (Tav. 31) uno dei maggiori protagonisti della scuola di Posillipo.
Il quadro, ora al museo Correale di Sorrento, eseguito intorno al 1824,
nel periodo in cui l’artista era a Napoli, ci mostra come era la marina
torrese negli 800 priva di tanti elementi architettonici presenti oggi. Di
sicuro l’opera appartiene alla fase matura di Vervloet, quando si
abbandonò, sempre più freddamente alla sua spericolata bravura di
prospettico, tralasciando di insistere sugli effetti atmosferici affidati
a delicate trasparenze perlacee di colori tenui ed intimizzati[52].
Di circa un secolo più tardi è un quadro di Leonardo Mazza (1926) (Tav.
32) che riprende lo stesso scenario dove appunto si vede la “scarpetta”
lavica di Portosalvo, oggi ricoperta dalla nuova banchina, oltre ad una
serie di nuovi edifici in una straordinaria e semplice organizzazione di
spazi. Luci e colori non hanno più funzione costruttiva ma complementare,
i volumi si schiacciano e si configura la rievocazione, quasi il
presentimento del pittore che ciò che immortala sulla tela diventerà
memoria visiva e storica.[53] L’incanto del posto, la festosa allegria
degli scugnizzi, la serenità di una cittadina che viveva di corallo e di
mare, questi gli ingredienti che resero unica Torre del Greco agli occhi
di Nicola de Corsi, un artista vagabondo del ‘900 che trovò l’approdo
ideale nella città di Napoli, riservando alla città corallina un posto
privilegiato nella sua mente. Anch’egli ritrae la marina torrese in un
paio di occasioni. Nella prima (Tav. 33), del 1940, l’artista, con
estrema abilità, riesce a cogliere in questo squarcio di paese l’attimo
di quiete dopo la tempesta, rievocando reminiscenze di leopardiana
memoria[54].
Il paesaggio marino è assoluto protagonista, mentre le altre figure
assumono il ruolo di contorno, di semplici comprimari, partecipi dello
spettacolo della natura. Nella seconda (Tav. 34) del 1941 la marina con le
case è immersa in un sistema di chiari e di scuri che agli antipodi della
composizione si fondono nella parte centrale del dipinto. Dove le barche
di pescatori si perdono nell’azzurro del cielo e del mare[55]. Accanto
alla pesca è alla lavorazione del corallo, principale mezzo d’industria
e sorgente più cospicua di ricchezza, si moltiplicarono anche botteghe
per la produzione delle vele, dei remi, delle funi come è documentato in
quadro di Antonino Leto (Tav. 35) che ha come soggetto appunto “I funari
di Torre del Greco”, cioè fabbricanti di funi per imbarcazioni, esposto
alla galleria d’arte moderna di Roma.
Il dipinto raggiunge effetti di straordinaria sensibilità cromatica nelle
pennellate rapide e ricche d’impasto, sensibili ai valori della «
Macchia »[56]. Tra le strade che conducono alla marina torrese una forse
è la più importante. Si tratta della via Fontana, chiamata così perché
ad una sua estremità si può ammirare ancora oggi un meraviglioso
monumento chiamato “La Fontana della cento cannelle”. La fontana fu
costruita dai torresi, in sostituzione di altre due fontane quella detta
« Dello Monaco » e l’altra delle ventiquattro cannoli costruita
intorno a 1783 su un progetto di Gaetano de Bottis, entrambe seppellite
dalla lava del 1784[57]. Restaurata di recente (1979) ed essendo priva d’acqua,
inariditasi e inquinatasi con l’acido carbonico dell’eruzione non ha
più la sua funzione che era quella di servire come lavatoio o altri
bisogni domestici come si può vedere da una stampa inglese di inizio
Ottocento (Tav. 36) il cui soggetto è appunto un gruppo di casalinghe
intente alle loro faccende, intitolato appunto “Washing piace at Torre
del Greco”[58].
Le cannelle che non sono state mai cento, ma molto meno, erano alimentate
da una sorgente naturale di acqua potabile che passava sotto la rupe del
castello prendendo la sua acqua dal fiume dragone che aveva la sua origine
alle radici del Vesuvio[59]. I lavatoi, il mulino, la fontana, erano tutti
allineati sulla via del fiumarello (oggi via Fontana) sotto il terrapieno
su cui sorge il castello, come si può vedere da un’altra stampa del
1896 (Tav. 37) dove si vede il terrapieno sullo sfondo[60].
Lo stesso sfondo è presente in un quadro del 1939 di Nicola de Corsi (Tav.
38) durante il suo soggiorno a Torre del Greco iniziato nel 1939 e
conclusosi con la morte nel 1956. Di elevato valore pittorico, il dipinto
riprende una scena di vita popolare in un luogo che è stato ripreso più
volte dal pittore dove compare spesso il vecchio municipio, nei cui pressi
abitava il pittore[61].
Il comune pensò di depurare e riattivare la sorgente, progettò di
risanare l’area circostante con la creazione di un parco a giardino con
panchine, di fare del luogo un punto di richiamo per manifestazioni
popolari, ma tutto è rimasto fermo e dell’acqua neanche una goccia. La
fontana è ancora oggi ostinatamente muta e abbandonata, tanto che l’area
d’intorno, invece che un giardino, è diventata un vasto immondezzaio,
spettacolo indecoroso e mortificante che spiace a tutta la cittadinanza
pur sempre gelosa della custodia dei suoi rari beni[62].
Se il quartiere della marina (ex vico del mare) era il più importante,
perché si svolgevano le attività economiche, il quartiere di capo la
Torre (oggi centro storico) veniva subito dopo perché era il luogo dove
ci si rilassava con amici e parenti, dove c’erano bar e ristoranti. La
zona era situata proprio sulla strada regia, quella strada che, come è
stato già detto univa Napoli con Reggio Calabria, come è rappresentata
in un’antica stampa della prima metà dell’800, (Tav. 39) con il
Vesuvio come sfondo e le poche piccole case in primo piano[63].
La stessa veduta fu ripresa da Achille Gigante in un suo bellissimo
disegno raffigurante la strada regia all’altezza di capo la Torre nello
stesso periodo[64] (Tav. 40). Infine ritroviamo lo stesso scenario in una
gouache di un ignoto del XIX secolo che ha come titolo “Vesuvio con la
neve da Torre del Greco” dove si notano, in primo piano, gli edifici del
luogo scelto dalla classe aristocratica napoletana per residenza di
villeggiatura, e sullo sfondo il Vesuvio ricoperto di neve con il suo
classico pennacchio di fumo[65](Tav. 41).
Il tutto in un fantastico equilibrio naturale. Sulla strada regia si
trovava poi la bellissima piazza S. Croce, così chiamata per la presenza
della Chiesa Maggiore, appunto la Basilica Pontificia di S. Croce[66].
Luogo di riferimento del raduno festivo vi convenivano tutti: contadini,
marinari, corallari che raccontavano le questioni di vita lavorativa e
familiare etc. In una rara stampa (Tav. 42) della fine dell’800 appare
la chiesa parrocchiale e la piazza di S. Croce come dovevano essere
allora.
La piazza era molto più piccola di oggi, con meno strade e frequentata da
meno persone. Doveva essere già molto cambiata nel 1930 quando Leonardo
Mazza la ritrasse descrivendo luoghi e cose con pacata serenità e ci
rimanda l’immagine di una amena e tranquilla cittadina dove il flusso
della vita quotidiana è scandito non da abbaglianti contrasti, ma da
terse luminosità e sapienti prospettive[67](Tav. 43). L’opera
rappresenta uno degli apici della produzione del pittore che realizza una
visione incomparabile della vecchia Torre del Greco: il Campanile e la
Basilica fungono da fulcro al dipinto ed alla piazza brulicante di festose
pagliette e di eleganti signore[68].
Sempre di Leonardo Mazza è un altro dipinto del 1926 (Tav. 44) dove si
vedono la Torre campanaria e il tetto a spiovente della Basilica di S.
Croce. L’artista definisce questo bellissimo scorcio dal terrazzo della
sua casa in via Roma da dove si vedono anche la penisola sorrentina e
Capri che fanno da compendio a questa ariosa e analitica composizione in
una atmosfera lontana e cristallizzata, dove la sensazione di magico e di
irreale nasce dal fermo temporale di ambienti descritti
realisticamente[69].
Oggi la piazza non è molto differente da come la vedeva il Mazza, c’è
solo più caos, più traffico e più negozi. La strada ferrata è stata
tolta e a farla da padrona è sempre la maestosa Basilica. Una chiesa
dedicata all’invenzione della S. Croce, costruita nel 1520 col denaro
della cittadinanza. Restaurata nel 1835 e considerata la Chiesa Maggiore,
con la cupola ricostruita dall’architetto De Fazio che si occupò anche
delle rimanenti decorazioni e abbellimenti[70].
I lavori di stucco furono eseguiti con materiali dello stesso paese, “i
quali hanno molto merito in ciò di diligenza e precisione”[71]. Dell’antica
chiesa non resta che il campanile, un tempo di tre ordini ora invece ne
restano due, essendo l’altro seppellito dalla lava del ’94. Grazie
però alla descrizione e alle misure indicate da Carlo Raiola, parroco di
S. Croce dal 1733 al 1742 si è potuto ricostruire in linea di massima com’era
la facciata della Chiesa prima dell’eruzione che vediamo riprodotta in
un disegno di Raffaele Raimondo [72](Tav. 45). La chiesa aveva il suo
prospetto frontale rivolto all’oriente e al di sotto del suo atrio vi
era la Regia strada che passava a destra di S. Croce e arrivava ad un
ponticello ubicato dove oggi è la via Antonio Luisi. Dalla strada, per
due rampe di scale, l’una opposta all’altra, di dodici scalini ognuna,
si ascendeva all’atrio che fu abbellito con le balaustre nel 1701 dai
maestri Giuseppe D’Apice e Giulio Moscatelli da San Severino.
Il campanile aveva tre ordini. Il primo era a forma quadrangolare a
facciate inclinate dette perciò a piede di torre, gli ordini superiori
ottagonali, e sui quattro angoli della torre di base dovevano sorgere
quattro strade che per vari motivi non furono più realizzate. L’orologio,
commissionato a Diomede Gargiulo di Sorrento, con contratto in data 9
Marzo 1713, fu messo in opera nello stesso anno e costò 200 ducati,
equivalenti a 850 lire oro. L’orologio fu collocato sulla porta sinistra
della chiesa rispetto alla facciata principale e sul lato destro rispetto
al campanile guardando dalla piazza; l’abitacolo fu costruito nello
stesso stile del campanile, cioè con pietre bugnate e mattoni.
L’ultima volta che l’orologio fece udire i suoi rintocchi fu il 16
Giugno 1794; aveva da cinque minuti suonato le sette e un quarto. In
cinque minuti fu tutto travolto e sommerso: rimase fuori soltanto la metà
del campanile[73]. L’ampio interno è a croce latina, a tre navate con
quella centrale con cinque arcate poggianti su grossi pilastri
quadrangolari, la volta a botte, la cupola; sull’altare maggiore c’è
la tela “L’invenzione della S. Croce” di R. Ciappa (1825) in
sostituzione della tela di Francesco Solimena sull’altare di Lorenzo
Vaccaro. S. Croce è stata l’unica parrocchia cittadina fino al 1929, ed
ancora oggi è detta per antonomasia “la parrocchia”; è stata inoltre
proclamata Basilica pontificia con decreto del capitolo vaticano del 6
Luglio 1958[74].
Tra i pittori del ‘900 è sicuramente Leonardo Mazza quello più legato
alla città corallina. Infatti in molte occasioni nel riprodurre gli
angoli della sua amata Torre del Greco, si sofferma ad analizzare
superfici e colori come in un suo bel quadro del 1927 (Tav. 46), un
dipinto storico che rappresenta due importanti edifici della città: il
palazzo Baronale (all’epoca municipio) e la Villa Castelluccio andata
completamente distrutta, come non esistono più questi giardini che li
circondano sostituiti oggi da case, supermercati e garage[75]. Uscito
dallo studio, Leonardo Mazza si immerge nelle chiare luminosità della sua
città, riportando sulla sua tela, con grande perizia tecnica, un angolo
caratteristico di Torre del Greco dove si vede l’ex fabbrica di pomodori
e Napoli in lontananza (Tav. 47); il paesaggio, grazie alla particolare
luce si arricchisce di forti elementi emozionanti che superano la rigorosa
costruzione prospettica tipica del maestro[76].
Da un altro dipinto del 1928 (Tav. 48), che ha sempre come soggetto il
Municipio e le case circostanti, si vede come il pittore riprende questo
scorcio con il golfo irradiato da una luce soffusa che rende il dipinto
carico di emozioni[77]. Negli anni della sua maturità (1926-1944),
Leonardo Mazza evolve il suo gusto pittorico interpretando il paesaggio
torrese con delicatezza, riproducendo con grande fedeltà le architetture
dell’epoca evidenziando doti di fedele cronista indugiando nella
descrizione dei particolari: cartocci, lesene e marmi colorati con una
pennellata non impetuosa. Tutto questo è già visibile nelle opere di cui
si è parlato sopra, ma lo è soprattutto in altre tre occasioni come una
veduta (Tav. 49), ripresa dal terrazzo della scomparsa Villa Castelluccio,
che ha come soggetto il Vesuvio fumante quasi nascosto dalle vecchie
costruzioni ottocentesche con un primo piano ricco di elementi
architettonici che ricordano con nostalgia lo splendore della villa[78].
Un altro esempio è un quadro del 1928 che riprende la chiesa di
Portosalvo dal terrazzo panoramico del Municipio, con un albero che si
innalza maestoso facendo da quinta ad un panorama ormai appartenente solo
alla memoria storica. La saggezza luministica dell’artista rende questo
pezzo unico[79] (Tav. 50). Un ultimo esempio è un dipinto sempre del 1928
che rappresenta le “scuole all’aperto” viste dalla terrazza
panoramica della Villa Comunale (Tav. 51) dalla quale l’occhio spaziava
sull’intero golfo. Tutto è stato distrutto per costruire la casa
Littoria, che era un’opera del regime, facendo scempio di quella
terrazza, ed anche con le successive costruzioni sorte tutte intorno, la
villa è stata trasformata in una specie di cortile alberato prima, e in
parcheggio per automobili poi[80].
Per fortuna Leonardo Mazza, attraverso il suo racconto che si fa garbato
riesce a documentare con attenzione fotografica i particolari e le
strutture architettoniche facendo conservare almeno il ricordo della Villa
Comunale di allora[81]. Nel panorama architettonico tornese un posto di
prim’ordine lo occupa la Villa delle Ginestre Ferrigno (Tav. 52). La
villa appartenne in origine al canonico Giuseppe Simioli (1713-779), poi a
sua sorella Margherita che sposò Diego Ferrigni; al figlio di questi
ultimi, Giuseppe, che nel 1826 sposò Enrichetta Ranieri e fu valente
avvocato e letterato napoletano. Questi offrì nel 1836-37 la dimora al
cognato Antonio Ranieri perché conducesse l’amico poeta recanatese
Giacomo Leopardi, infermo e bisognoso di aria salubre[82].
Il Leopardi durante le sue passeggiate nel territorio sovrastato dal
minaccioso vulcano, concepì il sublime e sconsolato canto de “La
Ginestra” che è la “summa” che unisce, in una sola visione, la
teoria della natura, forza brutale, cieca e ostile all’uomo, la
negazione di ogni sforzo umano di progresso sociale, l’illusione nella
vita che viene invece distrutta[83]. Il poeta compose qui ancora “Il
Tramonto della luna” e le ultime strofe dei “Paralipomeni alla
Batracomiomachia”. La villa passò poi in eredità nel 1864 ad Argia
Ferrigni, figlia di Giuseppe; nel 1902 al di lei figlio Amerigo di
Gennaro; nel 1907 ad Antonio Carafa d’Andria. Nel 1962 è stata
acquistata dallo stato che avrebbe dovuto sistemarla istallandovi un
centro di studi leopardiani[84].
La dimora, tipica dell’ultimo Settecento napoletano, posta in un fondo
rustico sulla lava vesuviana, ha un pian terreno con un piccolo vestibolo
e alcune stanze; un primo piano con altre stanze, dalle volte a vela, fra
cui quella abitata dal poeta. Il portico neoclassico, a colonne doriche,
su tre lati, di gelida compostezza, che sostiene una terrazza aperta al
panorama, è stato aggiunto nel 1907. Come è stato già detto Torre del
Greco era divisa in cinque quartieri (Capo la torre, Vico del Mare, Borgo
e Casale Nuovo, Malafronti e Falanga) che erano anche i più frequentati
per il grosso numero di persone che vi abitava e per le attività che si
svolgevano.
Si distinguevano comunque diverse zone di periferia verso Resina, la zona
Montedoro verso il Vesuvio, la zona alta dei Cappuccini e la Litoranea.
Quest’ultima era la zona preferita dai signori e turisti vari per la
villeggiatura rinfrescandosi nelle limpide acque del mare torrese e o
godendosi il sole sdraiati sulla particolare sabbia vulcanica di colore
nero.
La Litoranea, che era anche l’alternativa alla via Nazionale (ex strada
Regia) per raggiungere Boscotrecase e Torre Annunziata[85], si di molto
sviluppata soprattutto negli anni ’50 del secolo scorso, come appare in
un dipinto di un certo Antonio Luciano (Tav. 53) un simpatico vecchietto
napoletano di circa 70 anni con l’hobby della pittura, che attraverso
una riproduzione da un’antica foto ci documenta come era la Litoranea
verso la fine degli anni ’50. Oggi la zona non è molto diversa da 50
anni fa, anche se qualcosa è cambiato dovuto alla crescita della
popolazione che ha avuto come conseguenza l’aumento di traffico, la
costruzione di nuove abitazioni non più per alloggi estivi ma per
domicili definitivi per le numerose famiglie. Conserva però ancora la sua
caratteristica di zona di balneazione, nonostante il divieto per l’acqua
inquinata, il suo bellissimo panorama, ma soprattutto la rinomata cucina
praticata nei molti ristoranti della zona e più di tutti il ristorante
“la casina rossa”, il cui nome dipende forse dai casini di caccia dei
Borbone che probabilmente in quella zona erano situati, se non addirittura
nella stessa struttura dell’odierno ristorante.
Meta preferita sia di intellettuali che di gente comune era già presente
alla fine dell’800, informazione pervenutaci da un dipinto del già
ricordato Antonio Luciano che appunto nel suo lavoro di riproduzione di
foto antiche ci fa vedere com’era il ristorante nel 1888, data della
rara foto peraltro anonima (Tav. 54). Del 1938 è invece il dipinto di
Nicolas de Corsi (Tav. 55) che ha come soggetto il famoso ristorante di
Torre del Greco, realizzato con grande forza pittorica che raggiunge i
suoi punti d’interesse nella casina e nel capanno alla sua sinistra[86].
Nell’ordinare i documenti, fin qui riportati, ci è sembrato veramente
di aver fatto un lungo viaggio attraverso i secoli, nei luoghi, per le
strade e le contrade e di aver incontrato case e persone, di aver rivisto
edifici che furono e che oggi o sono ancora in piedi o sono scomparsi[87](Tav.
56). Possiamo affermare che attraverso questo studio è rivissuto in noi
ciò che in apparenza era morto trasportandoci verso quella che è la
Torre del Greco di oggi con i suoi problemi, i suoi aspetti positivi, con
la sua esistenza da sempre dipendente dalla calma del Vesuvio che, oltre a
sommergerla diverse volte ha fatto anche la sua fortuna nel tempo.
CONCLUSIONI La descrizione di queste stampe, disegni,
gouaches ed incisioni ha avuto come scopo di dare una visione più
organica, omogenea ed esauriente possibile di quelle che sono stati i
momenti più importanti, le situazioni salienti della vita economica,
sociale e politica di Torre del Greco. È possibile attraverso l’osservazione
e l’analisi di queste immagini, filtrate ovviamente dall’occhio di chi
le riproduceva, delineare i punti salienti dello sviluppo di Torre del
Greco nei secoli. Rappresentando dei documenti importantissimi sugli usi,
costumi, le vicende politiche, economiche ed il ruolo che la città aveva
come torre di difesa nel territorio napoletano, le ricostruzioni che ha
avuto a causa del Vesuvio. Si è partiti appunto col parlare con i
problemi che la città ha dovuto superare dopo le eruzioni del 1631, la
più catastrofica del 1794, ed infine quella del 1861 con i cambiamenti
morfologici che ne sono conseguiti. Cambiamenti che hanno portato alla
formazione della collina dei Camaldoli. Col suo fascino, con la sua
caratteristica forma dai fianchi ripidi e con il Vesuvio come sfondo, si
è affrontato poi il discorso del Castello Baronale, la sua funzione
politica come residenza dei signori che si alternarono nel tempo; ritrovo
degli intrighi amorosi di Alfonso d’Aragona e Lucrezia d’Alagno, la
sua trasformazione a sede del Municipio dopo il riscatto baronale del
1699.
La rassegna delle vedute ha interessato in seguito anche quella che era la
vita del popolo, la devozione religiosa, soprattutto al beato Vincenzo
Romano, primo parroco di S. Croce, chiesa maggiore della città. Per
proseguire poi con la festa dei 4 altari, evento religioso e popolare allo
stesso tempo. Si è arrivati quindi nel ricordare come Torre del Greco è
apparsa agli occhi dei vedutisti della scuola di Posillipo, di altri
pittori del ‘900 che a Torre hanno vissuto gli ultimi anni della loro
vita immortalando le proprie sensazioni ed emozioni che la città
suscitava dando anche un importante contributo storiografico di come era
la città nel secolo scorso per niente differente da come è oggi. Proprio
grazie a questi documenti, oggi ci è più facile comprendere come la
capitale del corallo si è evoluta nel tempo, ma soprattutto come questa
si presentava agli occhi dei visitatori, quali emozioni suscitava a chi
voleva imprigionarla per sempre all’interno di una rappresentazione
iconografica, e perché no, anche poetica visto che l’illustre Giacomo
Leopardi la “ricordò” nella sua «Ginestra».
NOTE
46 N. Palomba, Torre del Greco e le pendici meridionali del Vesuvio, D’Amelio
editore 1998, pp. 61-62.
47 R. Raimondo, Uomini
e fatti dell’antica Torre del Greco, opera postuma 1985, p. 577.
48 C. Di Cristo,
Torre del Greco Storia tradizioni e
immagini, Nuove edizioni 1925, pp. 60-61.
49 E. Di
Gaetano, Torre del Greco nella
Tradizione e nella Storia, Antiche denominazioni vol. I,
pp. 96-100.
50
E. Di Gaetano, Torre del Greco nella Tradizione e nella Storia, Antiche
denominazioni, vol. I.
pp. 102-103
51
R. Raimondo, Uomini e fatti dell’antica Torre del Greco, opera postuma 1985,
p. 470.
52 R. Causa, La scuola di Posillipo, Milano, Fabbri 1967, p. 51.
53 C. Di Cristo,
Torre del Greco Storia tradizioni e
immagini, Nuove edizioni 1925, pp. 126-127.
54 Città di Torre del
Greco Villa del Cardinale, Catalogo della mostra IV edizione, Milano
2000, p. 37.
55 Città di Torre del
Greco Villa del Cardinale, Catalogo della mostra IV edizione, Milano
2000, p. 41.
56
Torre del Greco 1699: L’anno del Riscatto,
Guida alla mostra, Electa 1999, p. 47.
57 R. Raimondi, Itinerari
torresi e cronistoria del Vesuvio, Edizione la Torre 1977, p. 72.
58
R. Raimondo, Uomini e fatti dell’antica Torre del Greco, opera postuma 1985,
p. 142
59 C. Di Cristo,
Torre del Greco Storia tradizioni e
immagini, Nuove edizioni 1925, p. 95.
60 R. Raimondo, Uomini
e fatti dell’antica Torre del Greco, Opera postuma 1985, p. 142.
61
Città di Torre del Greco. Villa del Cardinale, Catalogo della
mostra, p. 42.
62 Ciro di
Cristo, Torre del Greco Storia
tradizioni e immagini, Nuove
edizioni 1925, p. 97.
63 S. Loffredo,
« …Turris octavae alias del
Greco… »,
E.C.S. Editoriale Comunicazioni Sociali, Napoli 1983, p. 290.
64
R. Raimondo, Uomini e fatti dell’antica Torre del Greco, opera postuma, 1985,
p. 397.
65 Vesuvio con
la neve visto da Torre del Greco. Di ignoto del XIX secolo.
66 R. Raimondo, Uomini
e fatti dell’antica Torre del Greco, opera postuma, 1985, pp.
204-205.
67 Città di Torre del Greco. Villa del Cardinale, Catalogo della
mostra, p. 45.
68 Città di Torre del Greco. Villa del Cardinale, Catalogo della
mostra, p. 56.
69 Città di Torre del Greco. Villa del Cardinale, Catalogo
della mostra, p. 56.
70 Viaggio da Napoli a Castellamare, Napoli, Stamperie dell’Iride
1845, p. 57.
71 Viaggio da Napoli a Castellamare, Napoli, Stamperie dell’Iride
1845, p. 58.
72 R. Raimondi, Itinerari
torresi e cronistoria del Vesuvio, Edizione la Torre 1977. p. 40.
73 R. Raimondi, Uomini
e fatti dell’antica Torre del Greco, Opera postuma 1985. p. 206.
74 C. Di Cristo,
Torre del Greco Storia tradizioni e
immagini, Nuove edizioni
1925, p. 109.
75 Città di Torre del Greco. Villa del Cardinale, Catalogo della
mostra, p. 55.
76 Città di Torre del Greco. Villa del Cardinale, Catalogo della
mostra, p. 57.
77 Città di Torre del Greco. Villa del Cardinale, Catalogo della
mostra, p. 58.
78 Città di Torre del Greco. Villa del Cardinale, Catalogo della
mostra, p. 58.
79 Città di Torre del Greco. Villa del Cardinale, Catalogo della
mostra, p. 60.
80 R. Raimondi, Itinerari
torresi e cronistoria del Vesuvio, Edizione la Torre 1977. pp. 11-12.
81 Città di Torre del Greco. Villa del Cardinale, Catalogo della
mostra, p. 61.
82 R. Raimondi, Itinerari
torresi e cronistoria del Vesuvio, Edizione la Torre 1977, II Ed., pp. 157-158.
83 R. Raimondo, Uomini
e fatti dell’antica Torre del Greco, Opera postuma 1985,
pp. 378-386.
84 C. Di Cristo
“Torre del Greco Storia tradizioni
e immagini” nuove edizioni 1925, p.141.
85 S. Loffredo
« …Turris octavae alias del
Greco… », E.C.S. Editoriale Comunicazioni Sociali, Napoli 1983, p.
305.
86 Città di
Torre del Greco Villa del Cardinale. Catalogo della mostra. p.36.
87 S. Loffredo,
« …Turris octavae alias del
Greco… », E.C.S. Editoriale Comunicazioni Sociali, Napoli 1983,
p.404.
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