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VESUVIO
Che sarebbe? “Anche in questo caso mi occorre una puntualizzazione:
dall’Osservatorio affermano che il magma è posizionato a 10 km di
profondità rispetto alla bocca. Se ciò fosse vero, potrei dire che l’Osservatorio
può anche chiudere, visto che una possibile eruzione non potrebbe
avvenire prima di mille anni. Purtroppo, secondo me, la testa della
massa magmatica è a circa mille metri dalla bocca, all’altezza del
mare per capirci.
E non è escluso che possa muoversi, seguendo un percorso già tracciato
in passato. Per il momento l’energia indispensabile per un’eruzione
non c’è, ma questa può arrivare da un momento all’altro, senza
alcun preavviso. E in pochissimo tempo ci potremo trovare ad affrontare
l’emergenza senza che dall’Osservatorio giungano notizie. Da quelle
parti hanno le idee poche chiare. Bisogna lavorare tutti insieme, per
valutare tutte le possibili eventualità, al fine di trovarci preparati
a qualsiasi scenario”.
Ma mentre il dottore studia, l’ammalato muore… “Meglio morire
mentre si studia, che morire perché qualcuno ha sottovalutato il
problema. All’Osservatorio dormono su due guanciali. Potremo trovarci
un giorno in una situazione imprevista, e nessuno potrebbe fare più
nulla”.
Cosa propone allora? “Innanzitutto, occorre conoscere i dati bruti
degli eventi che si registrano attorno al Vesuvio. Non ci servono le
interpretazioni, dobbiamo valutare con i dati forniti dagli strumenti,
senza alcun filtro. È una battaglia che faccio da anni, eppure tutti
rimangono sordi a questa che non mi pare una richiesta irrealizzabile.
La comunità scientifica che non è d’accordo con l’Osservatorio,
non ha dati di fatto per dimostrare le proprie tesi. Andiamo a
confrontarci, andiamo a dibattere. Cerchiamo di mettere in campo tutte
le nostre conoscenze. Non è detto che io abbia ragione, magari qualcuno
potrebbe convincermi di essere in torto. Ho paura dell’unanimismo,
specie quando parliamo di scienza. Ma senza un serio confronto, siamo
destinati a vivere eternamente coi nostri reciprochi dubbi”.
Lei in pratica sta proponendo un gruppo di lavoro? “Anche. Ma prima di
arrivare a questo risultato, che al momento mi pare utopistico,
cerchiamo di istituire una figura che faccia da garante all’interno
dell’Osservatorio, che possa dare a tutti i dati registrati dalla
strumentistica. Per il momento l’Osservatorio è chiuso a qualsiasi
confronto. È una cosa vergognosa.
L’Osservatorio deve essere un palazzo di vetro, non solo in senso
materiale ma essenzialmente figurato. Adesso per realizzazione è un
palazzo di vetro, ma questi vetri sono affumicati. E poi non mi sembrano
in grado di stabilire il normale dall’anormale. Quando è che un
terremoto è normale e quando no? Per ritornare alla massa magmatica, la
tomografia fornisce informazioni solo ad ampie profondità, perché va a
valutare esclusivamente corpi grossi. Di masse di dimensioni ridotte,
500-1.000 metri, non vi sono tracce.
Eppure queste hanno una pericolosità che non va trascurata, e sono
queste quelle più vicine alla bocca”.
Cosa consiglierebbe ad un amico che ha una casa a Torre del Greco?
“Personalmente non ho paura del Vesuvio, perché so come
affrontarlo. Conosco bene quali sono i pericoli e quali i segnali da non
sottovalutare. E so rispondere alle sue sollecitazioni. Mi fa paura la
disorganizzazione, questa sì. Come sono preoccupato dall’inciviltà
delle nostre istituzioni, nessuna esclusa, che non vogliono essere
trasparenti su una problematica di così ampio interesse. Al mio amico
di Torre, consiglio di non preoccuparsi nel breve periodo, perché non
ci sono segnali di una ripresa immediata delle eruzioni. Ma se il mio
amico si è convinto che potrà vivere in queste zone per l’eternità,
devo dirgli che ha fatto male i suoi calcoli”.
Un’ultima battuta sul Piano di Evacuazione… “L’ho sempre
combattuto. È troppo semplice fare una proposta quando non si conosce
come applicarla. Se poi manca il confronto, il tutto si complica
ulteriormente”.
L’esperto. Parla Francesco Santoianni, dell’ufficio Protezione
Civile: “Non abbiamo referenti istituzionali con cui confrontarci”
“C’è troppa improvvisazione” Lo so, sono un semplice dipendente
comunale, ma la situazione è grave, e in qualità di responsabile degli
uffici di Protezione Civile non posso non occuparmi del rischio-Vesuvio,
anche a costo di smettere i miei abiti di indipendente, prendendo parte
ad iniziative prettamente politiche”. Giustifica così il suo impegno
a fianco di Rifondazione Comunista l’architetto Francesco Santoianni,
uno dei più lucidi critici rispetto all’attuale Piano di Emergenza
imposto da Roma ai Comuni vesuviani. Insieme ai neocomunisti, Santoianni
ha messo su un gruppo di lavoro, che ha prodotto anche un opuscolo
informativo sullo stato attuale delle cose.
“L’attuale Piano non mi convince - spiega - ma non è questo
il problema. Sarei già soddisfatto se avesse un carattere concreto,
pratico. Invece l’intero progetto è rimasto un pezzo di carta buttato
alla rinfusa su tante diverse scrivanie, senza piani operativi, senza
soprattutto un preciso referente istituzionale, un Ufficio responsabile
del Piano Vesuvio, con precisi compiti e scadenze. Questo è il dato
più preoccupante”.
Ma le perplessità riguardano anche l’esodo previsto dei profughi
vesuviani nelle varie regioni italiane. Torre del Greco è stata
destinata alla Sicilia e alla Sardegna. “Torno a dire - continua
Santoianni - che se almeno si stesse preparando l’accoglienza potremmo
anche discutere con più tranquillità. Invece dobbiamo costatare che
nessun Comune si sta attrezzando per accogliere la popolazione torrese.
Se esodo deve essere, perché non pensare a una destinazione più
consona a favorire la conservazione delle nostre radici, delle nostre
prerogative economiche e sociali, anche in vista di un eventuale
reinsediamento?”.
Come al solito, si rischia di intervenire in fretta e furia quando
oramai è troppo tardi…
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“Vorrei dire a chi governa il
nostro Paese - conclude l’architetto - che cinque lire spese oggi per
i Comuni vesuviani equivalgono a chissà quanto denaro pubblico in
futuro. Penso a incentivi, piani di decongestionamento, creazione di
collaudate vie di fuga. Interventi che sarà impossibile improvvisare da
un giorno all’altro”.
L’Amministrazione. L’assessore Grimaldi illustra i programmi del
Comune e lancia una proposta che non mancherà di far discutere “Trasformiamo
Torre in una città per pendolari” Torre in Sicilia? L’ipotesi
sembra non piacere affatto al massimo rappresentante dell’amministrazione
comunale in tema di protezione civile, Francesco Paolo Grimaldi. “Perché
andare così lontano? A che scopo - si chiede -? La nostra città è
ricca di lavoratori che intrattengono rapporti professionali con tante
realtà interne alla Campania.
Bisogna pensare attentamente all’economia del nostro comune. Se Torre
dovesse essere distrutta da un’eruzione, non vedo perché debbano
essere distrutti anche legami sociali e lavorativi”.
Per Grimaldi la preparazione al rischio-Vesuvio dovrebbe consistere nel
riconoscimento di particolari condizioni ai comuni interessati dall’attività
del vulcano, come ad esempio un indennizzo per chi possiede attività
imprenditoriali e voglia abbandonare Torre del Greco.
“I cittadini vesuviani dovrebbero beneficiare di un documento che
attesti il loro disagio di vivere in un territorio a rischio, in modo da
ricevere delle agevolazioni in materia di mobilità, in vista di un
decongestionamento delle nostre città - spiega l’assessore - ma dall’alto
non arrivano direttive chiare. Basti pensare che il coordinamento tra i
vari uffici di Protezione Civile è lasciata alla libera iniziativa di
noi amministratori locali, senza nessun vincolo di sorta.
Così, se due dipendenti di Torre ed Ercolano vanno d’accordo e si
scambiano con piacere informazioni e impressioni, allora tutto ok,
oppure, in caso contrario, i contatti possono rivelarsi del tutto
casuali e insufficienti”. Infine, una proposta choc, lanciata nel
corso di un dibattito sul Vesuvio nel corso dell’ultima festa di
Liberazione.
“Per ridurre il rischio e facilitare l’evacuazione - suggerisce
Grimaldi - si potrebbe pensare a Torre come una città di pendolari.
Significherebbe trasformare col tempo il nostro comune in un centro a
chiara vocazione turistica, attivo di giorno, ma con un netto
decentramento di abitazioni civili in comuni più sicuri”. Insomma,
come Catherine Deneuve: bella di giorno… Il progetto. I punti chiave
del documento che al momento regola il rischio-Vesuvio. Tra meccanismi
farraginosi e mancati aggiornamenti Avanti… Piano L'attuale Piano di
Emergenza per l’Area Vesuviana è stato redatto sotto impulso del
Dipartimento di Protezione Civile, in collaborazione con la Prefettura
di Napoli.
Il tipo di eruzione presa in considerazione per programmare l’evacuazione
è quella del 1631 (vedi scheda in queste pagine), che fece ben 4mila
vittime, radendo al suolo le città di Torre del Greco, Torre Annunziata
e Boscoreale. I livelli di rischio. Il Piano individua sette diversi
livelli di rischio, associando a ciascuno di essi un adeguato
comportamento delle autorità scientifiche e di pubblica
sicurezza.
Si parte dalla prima fase, detta di attenzione, in cui lo stato di
allerta è motivato da un dato anomalo dello stato del vulcano rispetto
alle osservazioni degli ultimi venti anni, fino ad arrivare all’ultima
fase, successiva all’evento vulcanico. Vulnerabilità dei centri
abitati. La commissione preposta alla redazione del Piano svolse, circa
cinque anni fa, un’indagine sulla vulnerabilità sismica degli edifici
presenti nei comuni vesuviani. Considerando 100 come il valore di
massima sicurezza e 1 il grado di maggiore vulnerabilità, si è
stabilito per ogni comune la percentuale di zone appartenenti a ciascuno
dei cinque livelli individuati lungo questa scala immaginaria.
Il 13,6% del territorio torrese ricade nel punteggio compreso tra 60 e
80, mentre risulta affidabile un buon 59,1% degli edifici. Le situazioni
più critiche (valori al di sopra di 80) sono quelle di Boscotrecase
(12,5% di territorio a forte vulnerabilità sismica) e di Ercolano
(5,9%). La gestione del rischio. Come molti sanno i 18 comuni
interessati dal Piano sono stati accorpati in cinque zone a diverso
rischio. Quella caratterizzata dalla maggiore pericolosità è indicata
con il colore rosso e comprende anche Torre del Greco. Saranno proprio i
comuni “rossi” ad inaugurare la fase dell’evacuazione mediante
treni, navi, bus e auto private. All’esterno dell’area a rischio
verranno posizionati dei “cancelli”, cioè delle postazioni
presidiate dalle Forze dell’Ordine allo scopo di disciplinare i flussi
e conferire un apporto psicologico ai fuggiaschi.
L’allontanamento della popolazione avverrà in direzione di regioni
esterne alla Campania, tramite appositi gemellaggi. Torre del Greco è
stata abbinata alla Sicilia. I capi-famiglia. Si prevede che la gran
parte della popolazione venga allontanata tramite treni e navi, mentre
toccherà ai capi-famiglia raggiungere con mezzi propri la Sicilia. A
loro il compito di raccogliere i beni più cari al resto del nucleo
familiare, che invece dovrà fuggire su mezzi pubblici, senza
trasportare bagagli ingombranti.
La comunità scientifica ha stimato in circa venti giorni il tempo
intercorribile tra un’attendibile previsione dell’eruzione e l’eruzione
stessa. Prevedendo che circa il 15-20% potrebbe contare su abitazioni
alternative o su parenti residenti fuori dall’area a rischio, si conta
di sgomberare le zone rossa, arancione e verde entro il termine massimo
di sette giorni. Il rientro. Il ritorno sui luoghi colpiti dall’eruzione
sarà graduale e interesserà in primo luogo i sindaci, i responsabili
dei servizi di distribuzione di energia e di acqua potabile, tecnici
scelti. Per quanto riguarda la popolazione il Piano indica che i primi a
far ritorno saranno i capi-famiglia, a cui competerà un’opera
iniziale di bonifica del territorio, nonché l’avviamento di un minimo
di attività commerciale e sociale.
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