LA SPELEOARCHEOLOGIA VESUVIANA Pag. 3
SPELEOARCHEOLOGIA A TORRE DEL GRECO 

GROTTA DEI GRANAI AL MULINO   TdG 4

Rischio 5

       

L'entrata è situata nell'area dei Granai dell'ex  Mulino alle spalle della “fabbrica del ghiaccio”. La zona è posta sul lato mare della Via Felice Romano . Qui il ramo nord della colata del 1794 transitò in parte in quanto  scendendo dalle pendici del vulcano , dopo aver seppellito la Chiesa di Santa Maria del Principio ed aver quindi costeggiato il Colle degli Zoccolanti, si diresse per naturale pendenza verso il Mare . Perdendo forza per mancanza di apporto e per fenomeni di raffreddamento il ramo nord si arrestò poco oltre l'attuale via Felice Romano  andando a debordare per poco più di 50 metri nell'attuale pianoro del Mulino. La piantina che segue mostra l'esatta ubicazione dell'accesso che è contrassegnato con il numero 4. A sinistra con il numero 5 ho riportato il luogo secondo cui sarebbe sorto il Fortino di Calastro ( ipotesi cartografica del Morghen) . Il ramo lavico del 1794 è colorato in azzurro, mentre in verde è disegnato il lembo lavico che venne asportato per far posto alla spianata dei Granai. Rimosso questo grosso frammento lavico si pose allo scoperto l'accesso a questa grotta . Da rimarcare ancora il fatto che il piano della grotta è posto oggi a circa 12 metri sul livello del mare , mentre la Via Felice Romano giace a circa 5 metri più in alto. L'altezza del banco lavico infatti in questo punto è pressappoco corrispondente ai 5 metri in media.

Nelle immagini che seguono si possono osservare i dettagli dell'area . La foto numero 1 mostra dalla via Cesare Battisti il grande balzo altimetrico che si venne a creare con la colata del 1794 . Nella foto numero 2 viene mostrata l'area dei granai . Nelle immagine numero 3 l'accesso alla grotta , dove in alto si possono notare la lava del 1794 con i segni dell'opera di sbanco.

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L'accesso alla grotta è agevole e quasi privo di rischi.

Una lunghezza complessiva di 22 metri con un'altezza variabile da 180 cm a 60. Si procede per il primo tratto (A) con l'aiuto della luce esterna. Subito dopo il “gomito” B l'illuminazione naturale scema . Nel tratto D vi è un piccolo slargo di circa 3 metri con fenomeni di cedimento alle pareti. Dal punto D in poi si nota una forte presenza di umidità con infiltrazioni idriche evidenti alle pareti in particolare nel punto E. Il limite oltre il quale non è possibile addentrarsi è segnato da F. Qui il crollo della parete verticale è molto evidente.

Caratteristiche geologiche.

Anche qui come in altre grotte torresi si assiste alla stessa conformazione. In alto come per tetto il 1794. Le pareti ed il piano di calpestio sono verosimilmente ricavate dallo scavo condotto nel fango che è il prodotto odierno della consolidazione disidratazione e cristallizzazione di un fenomeno piroclastico avvenuto molti secoli orsono.

L'area in questione è certamente interessantissima . Qui a poche centinai di metri ad ovest vi era la Villa Romana di Breglia. A circa 100 metri in direzione nord-ovest venne rinvenuta la Necropoli Romana di Santa Maria del Principio.  Questa zona fu come Sora , risparmiata dalle grandi colate magmatiche del Vesuvio. Le abbiamo definite ISOLE ossia aree di territorio nel quale non si sono verificate grandi sovrapposizioni laviche.  Le pareti ed il paino di calpestio della grotta , come abbiamo prima accennato sono in materiale alluvionale fangoso. Simili formazioni sono tipiche del 1631 e del 79. Una indagine più attenta e specialistica ( geologica ed archeologica ) del sito potrebbe chiarirci la datazione della parte basale della grotta. Potrebbe anche dirci qualcosa in più sulle origini della grotta che allo stato attuale sembra essere mista, ossia in parte scavata dal defluire di acque ed in parte opera dell'uomo.

Nessuna traccia di manufatti, nessuna traccia macroscopica di vita fatta eccezione per un piccolo teschio di gatto.

 

GROTTA DEL SAN MICHELE       TdG 5

Rischio 5 e 10 in alcuni punti

( Vedi relazione specifica nel capitolo dedicato al Centro Storico Chiesa di San Michele )

 

La piantina in alto mostra l'accesso alla grotta situata all'interno della Chiesa del Santissimo Sacramento e San Michele Arcangelo. La Chiesa è posta lungo la via Diego Colamarino posta a 46 metri sul livello del mare..

Nel capitolo relativo al CENTRO STORICO si troveranno dettagli relativi alla storia della Chiesa. In questa parte ci soffermeremo prevalentemente sugli aspetti speleo durante le varie ricognizioni effettuate dal Gruppo.

Fu grazie all'interessamento dell'Archeologo Don Nicola Ciavolino che venni chiamato per poter organizzare delle ricognizioni di studio e di ricerca nell'area ipogea della Chiesa di San Michele.  Il Gruppo come sempre aderì in massa e senza riserve. Venne approntata una rete elettrica fissa per l'illuminazione ed un servizio di scarico dei materiali di scavo. Fu un'operazione per così dire in grande stile con tutti i crismi della ricerca archeologica e speleologica. Parteciparono alle ricognizioni anche soggetti estranei al Gruppo che si unirono alle squadre per collaborare e aiutare nell'immane lavoro di pulizia e sistemazione dei degli ambienti .

In questo capitolo voglio fortemente rivendicare la paternità delle scoperte che qui vennero compiute e voglio sottolineare l'assoluta dedizione dei soci del Gruppo che seriamente si impegnarono in quest'opera di recupero monumentale. La TERRA SANTA  della Chiesa di San Michele era stata abbandonata dal tempo della grande eruzione del 1794 e nessuno mai vi era sceso con intenti culturali di recupero e valorizzazione del monumento. Si deve quindi all'opera del Prof Ciavolino che diresse e guidò lo scavo. Si deve al Gruppo Archeologico ed a tutti i suoi soci il merito di aver proposto alla città questo monumento di valore enorme. Gli altri che vennero dopo videro solo i risultati . Coloro che operarono in quegli anni ( 1975982) devono aver menzione ed a loro vanno i meriti dell'impresa.*

Ciò detto passeremo brevemente a descrivere gli ambienti per poi passare ai dettagli delle due principali spedizioni speleologiche.

La Chiesa era posta sul versante mare della Real Strada delle due Sicilie . Si apriva con la facciata verso il magnifico scenario del Vesuvio. Sul davanti stando alla carta del Morghen non dovevano esserci come ora grandi edifici . Nulla poteva far presagire che dalle pendici del vulcano in un caldo giugno del 1794 si aprivano delle bocche eruttive dalle quali sarebbe sgorgato il fiume lavico che mise in ginocchio la città. Un torrente in piena portatore di morte e distruzione si dirigeva proprio verso il centro della città.  Quella colata così come aveva fatto con Santa Croce, con l'Assunta, Santa Maria del Principio e Santa Maria delle Grazie avrebbe inglobato e distrutto anche San Michele . L'avrebbe chiusa in una morsa ardente. Dopo l'immane disastro restò in piedi solo la parte sommatale della chiesa. I lavori di restauro successivi ricavarono una nuova chiesa dal complesso restato miracolosamente in piedi. Un grande solaio fu costruito a livello dell'attuale via Diego Colamarino e l'antica chiesa tagliata in due venne riutilizzata. Tutta l'area sottostante buia ed inospitale venne utilizzata come terra santa ossia come cimitero ecclesiale.  Si rese possibile l'accesso a questo enorme vano sotterraneo scavando nel contesto del monte lavico una ripida scalinata in muratura . Questo l'accesso al complesso ipogeo.

Il disegno che propongo è frutto del lavoro del Gruppo e mio personale è non di quelli che vennero poi. Il Gruppo operò rilevò scavò sotto la guida di un Archeologo. Coloro che vennero poi e si arrogarono i meriti della scoperta sono impostori che avrebbero dovuto possedere  per lo meno l'eleganza di segnalare la paternità delle opere che qui si compirono . Tutte le tavole di questo lavoro portano la mia firma . Tutte le considerazioni fatte in questo scritto portano la mia firma ed implicitamente di coloro che lavorarono con me amando profondamente le bellezze di questa terra.

Il disegno è datato al 1983 e ci illustra in maniera semplice e schematica una sezione della Chiesa antica e di quella moderna. Ma guardiamo assieme e poi commenteremo i dettagli.

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La sezione semichematica mostra in una veduta d'insieme il COMPLESSO IPOGEO DEL SAN MICHELE. Per mia comodità e per rendere fruibile una lettura semplice ed esaustiva del testo ho diviso l'area di studio in tre zone.  

Sulla destra del disegno seguiamo attentamente le indicazioni per comprendere meglio e poter studiare il monumento così come appare oggi.

Zona a  -  Corrisponde all'area della odierna Chiesa posta sullo stesso piano della Via

                 Diego  Colamarino.

Zona b  -   Area della Chiesa ipogea . Questa sezione del disegno corrisponde al

                 settore che venne inglobato nella colate del 1794.

Zona c  -   Area sottostante al 1794. Siamo nelle fondamenta della chiesa Barocca ,

                 quella originaria. Da questa zona si dipartono numerosi cunicoli ed accessi a

                 cavità sotterranee che si estendono sul piano geologico, in un settore che

                 certamente appartenne forse al 1631 ma quasi certamente ci può portare alla

                 Torre medioevale ed anche romana.

Le tre aree ci riportano quindi in tre distinte epoche in tre distinti momenti della vita della città.

Il lavoro spelo archeologico che venne iniziato dal Gruppo in questa Chiesa aveva precisi intenti.  Ci eravamo prefissati il compito di documentare fotograficamente e graficamente ogni particolare, cercando di dare risalto a quella fenomenologia vesuviana che aveva permesso la distruzione e la conservazione allo stesso momento del tempio. Un po' come accade a Pompei dove il Vesuvio distrusse e comunque consentì di conservare. Documentare  era la prima missione da portare a termine. Poi sistemare l'area delle sepolture all'aperto. Recuperare il materiale archeologico e catalogarlo. Infine perlustrare le aree sotterranee al piano antico del 1500.

Le caratteristiche geologiche del  complesso sono da riferire ai due eventi vulcanici che accomunano la storia della città.

All'interno della Chiesa antica si osservano come alla Assunta, come a Santa Croce ed agli Zoccolanti delle fosse per la sepoltura. Qui le aree sono chiaramente più ampie rispetto agli esempi che abbiamo citato, inoltre sul davanti della antica entrata alla Chiesa si nota la presenza di una fossa cruciforme .

Dopo l'eruzione del 1794 così come era avvenuto all'Assunta, la Chiesa rimasta in piedi poggiava direttamente sull'edificio avvolto dalla lava solidificata. L'ambiente sotterraneo diventava una sorta di CIMITERO ECCLESIALE. La così detta Terra Santa dove venivano seppellite le salme nelle aree di inumazione. Solo successivamente i resti mortali venivano dissepolti e trasferiti negli ossari. La stessa procedura l'abbiamo osservata , come abbiamo detto all'Assunta ed ai Zoccolanti. L'operazione di riesumazione della salma e di collocazione nell'ossario avveniva di prassi secondo regole precise che ogni Congrega si dava. Per questo motivo accanto alle fosse cimiteriali troviamo scavati in profondità assurde ,dei lunghi pozzi per l'accoglimento delle ossa. 

Se questo avveniva in quasi tutte le Chiese di Torre ( e del Napoletano ) al San Michele accadeva stranamente un fatto inconsueto, dagli aspetti inquietanti e con risvolti culturali che evocano contaminazioni culturali antiche forse del lontano Egeo . Nel passaggio della terra santa al pozzo dell'ossario , molte spoglie mortali ( teschi , femori e tibie ) venivano offerte alla vista del pellegrino e del visitatore. Questa usanza è tipica di alcune Chiese cinquecentesche seicentesche del centro storico di Napoli, dove la devozione ai morti faceva parte di un rituale che affonda le radici nei lontani meandri della cultura pagana dell'antica Grecia . Napoli e quindi Torre del Greco furono colonie della Magna Grecia ed in quanto tali avevano accolto usi e costumi della madre patria. Ne è un esempio il complesso archeologico di Nekromandion in Peloponneso. Ma senza fare paragoni con paesi lontani geograficamente e nel tempo , possiamo certamente affermare che il “culto dei morti” al San Michele a Torre è stata un'usanza antichissima e paradossalmente anche moderna. Fino a 70 anni fa all'interno di quella Chiesa “segreta” si svolgevano vere e proprie funzioni “propiziatorie”. Vere cerimonie per il suffragio delle anime e per propiziare gli eventi futuri. Si scendeva al San Michele per chiedere grazie al defunto . Nacque così in epoca lontanissima il culto dei defunti legato alla tradizione antica della offerta e della richiesta.

La Pizia di Delfi non è lontana.

All'interno del bui ambienti sotterraneo dopo il 1794 vennero costruite delle urne in legno a forma di casa con porticine e finestrelle. All'interno di queste custodie ( gli “scaravattoli” ) venivano adagiati su preziosi cuscini ricamati e merlettati i teschi le tibie e i femori dei defunti . Sembra che ci siano stati degli addetti che si adoperavano alla cura, alla pulizia dei macabri resti. Davanti ad ogni urna venivano posti ceri ed offerte di vario tipo. Ma ciò che sorprende è dato dal fatto che durante due secoli questi cerimoniali fossero condivisi in modo unanime dalla cittadinanza e dal clero. Per la prima volta ci trovavamo di fronte ad un fenomeno le cui espressioni antropologiche valicavano i confini della città. Riti religiosi e celebrazioni. Tutto condito da canti e litanie delle quali non ci è pervenuto nulla. Sappiamo solo che all'interno di quell'ambiente tra le luci tremule delle candele si aggiravano persone addette al “culto” specifico di un determinato “scaravattolo”. Nasceva così per merito di indicazioni specifiche il culto di un'urna . Ogni urna sembra sia stata munifica per determinate grazie, ogni teschio specifico per “esaudire” quel desiderio e soddisfare quelle specifiche aspettative della gente. Per anni al “FOSSO DI SAN MICHELE” la gente ed i particolare i “devoti” accorrevano al cranio di Pasquale per chiedere quella determinata grazia , oppure si recavano presso il cranio di Nicola per mediare ed intercedere un favore. Nel tempo questo culto divenne talmente forte che attorno alle reliquie della “capa di Nicola e di Pasquale” si formarono vere e proprie confraternite dedite alla preghiera.

Quando per la prima volta , sotto la guida sapiente dell'Archeologo Ciavolino, scendemmo in quella antica Chiesa avemmo tutti l'impressione di trovarci in un altro mondo. Un mondo antico ed affascinante, attorno al quale ruotavano storie secolari di amore , paure, speranze e sacrificio. La prima operazione di recupero fu quella di dare degna sepoltura alla maggior parte degli scheletri che giacevano a terra, tra la polvere le macerie e la sporcizia. Successivamente passammo alla pulizia delle urne ed alla loro catalogazione. A questo punto, proprio nel mentre si procedeva alla apertura delle urne ed al loro riassetto, fu fatta una scoperta incredibile. Dietro i cuscini , i drappi polverosi e lerci, al di sotto delle pesanti incrostazioni di cera e tra le ossa e la polvere , scoprimmo migliaia di ex voto in argento ed una quantità incalcolabile di lettere ed amuleti.

Tutto il materiale venne catalogato e trasportato presso la Chiesa di Santa Maria del Principio, per essere studiato.

Gli ex voto riguardavano grazie ricevute per persona ( malattia generica ) per organo ( cuore, orecchio, occhio,…) per arti ( mano, piede , gamba,…) . Alcuni ex voto avevano fattezza di animale ( gatto, uccello,…). Altre formelle in argento erano certamente antiche per decorazioni  e forma. Ingiallite ed annerite dal tempo alcune erano letteralmente avvolte dalla cera , dalla fuligine e dalla polvere. Circa le lettere ed i biglietti ,devo dire di averne raccolte a migliaia, in forma di lettera chiusa in busta , di foglio sigillato da un filo tessito e ricamato, in forma di pallina arrotolata, in forma di cono ( “coppetiello” ). Spolverati e ripuliti alla meglio, tutti questi “messaggi” vennero consegnati nelle mani dell'Archeologo Ciavolino. Ebbi modo nei mesi successivi di poter studiare da vicino quelle missive. Fu per me una grandissima emozione scoprire che Nicola e Pasquale avevano un filo diretto con tutta Torre e con la Torre di ogni ceto sociale. Non saprei come descrivere quei momenti, non ne trovo le parole. E complesso spiegare in parole dei sentimenti, degli odori, dei sapori . E' complesso descrivere i colori e le forme. Ci vorrebbe la penna di Manzoni o di Dante per farlo degnamente. In quelle lettere in quelle pallottole di carta sbiadita e stinta dal tempo vi erano i sentimenti della gente comune , vi erano i pensieri della gente senza istruzione, vi erano le parole dei pescatori e delle madri trepidanti . Un mondo immenso e vivo di gente che chiedeva aiuto. Scoprii che chiedere a Pasquale era come chiedere alla Pizia. Ti darò qualcosa se mi darai. E senza tanti preamboli dandosi del tu.  Molti messaggi erano  indirizzati con lessico vivace e colorato, con parole dure e spontanee. Da quegli scritti si sarebbe potuto produrre un trattato di antropologia e di sociologia.

Ma veniamo ai contenuti. Molte lettere, dicevo vennero catalogate Dal Ciavolino, ma di moltissime ebbi modo di visionarle e di studiarle. Oggi non ci resta alcuna traccia di quelle “missive” per l'oltretomba. Tuttavia in questo capitolo voglio fare qualche accenno ai dialoghi più interessanti e significativi. Il tipo di scrittura è sempre lo stesso. Elementare spesso sgrammaticato. La maniera in cui scrivevano i Torresi variava a seconda delle epoche dalla matita, alla penna a sfera , al pennino . Nessuno scritto a macchina. Alcuni foglietti ancora contenevano disegni e graffiti indecifrabili . Come si rivolgeva il “fedele” a Nicola ? Usava sempre il tu. Non girava molto attorno all'argomento da trattare , ma in massimo 10 righe centrava l'oggetto di discussione. Sì dico bene, discussione, in quanto tra i due interlocutori ( il teschio ed il fedele ) si instaurava una sorta di dialogo fatto di epistole. Non a caso all'interno di uno “ scaravattolo”  trovai a distanza di settimane tre lettere che erano una la continuazione una dell'altra. Ma di questo vi parlerò alla fine.  Caro Pasquale diceva una mamma torrese: “…ti ho già chiesto tante volte di farmi avere un posto a mio marito che parla poco ma è forte ,… e conosce bene il mare…”. Alcune missive erano firmate. Maria ad esempio rivolgendosi al potente interlocutore dice: “ eppure sono giorni che vengo a lustrarti e a portarti l'olio,… ma quando ti muovi ?” . Ma anche gli uomini scendevano al San Michele per chiedere . E' il caso incredibile di Gaetano che scrive 10 righe su un foglio senza righe con la matita. “ caro pasquale devi sapere che mi hanno dato quattro anni di carcere , percè tu lo sai e quando mi vedesti capisti , ora devi aiutarmi a trovare il lavoro che mi manca e devo lavorare per i miei figli e mia madre, quando vuoi ,…” . Un meraviglioso spaccato della vita torrese di circa un secolo fa. Scrive ancora Rosetta : “… avevi aiutato già prima iolanda ma quella nemmeno ti mensa  io invece lovedi sto tutti giorni qui giù …”. Invidiosa Rosetta che aveva probabilmente visto le grazie ricevute da Iolanda.  Una signora tragicamente scrive ancora : “ … quando tornerà Gennaro ? lo sai che è andato al fronte e non mi scrive ,… devi dirglielo tu alla moglie …”. Probabilmente la madre scrive per avere notizie del figlio in guerra e avvertendo  strani presagi chiede all'interlocutore di comunicare lui direttamente le notizie alla nuora. Straziante poi la lettera (  antica per la carta particolare sulla quale era scritta ) di una donna che non si firma che avvisa Nicola e Pasquale che non c'è nulla da fare con la figlia che è morta due mesi prima per malattia di cuore. Moltissime le lettere di ringraziamento per malattie e per condizioni disagiate superate bene grazie alle intercessioni.  Ma la corrispondenza più gustosa e ricca di spunti di studio intercorre tra una certa signora Nunzia e Pasquale. “ … devi fare qualche cosa perché mio figlio deve prendere il posto nei tram…” . Dopo qualche settimana trovai la risposta . “…quando melanno detto ho pensato a te…per adesso guadagna bene nei tram…”. Fu la parola tram che mi permise di collegare le due lettere .  Una pallottola quasi resa pietra dalle colate di cera vi era scritto: “ …la fioraia all'angolo deve aiutare la figlia,… tu che ci stai a fa…”. Trovai infine una pallottola di carta ingiallita che una tal Signora Adele indirizzava ad uno degli interlocutori dicendogli di petto la verità su un misfatto del marito. “…ho scoperto tutto…” dice Adele probabilmente adiratissima “ …c'ha quella stronza …” mancavano  pezzetti di carta per decifrare il testo intero “ … tocca a te …  per sempre…”.  Cosa abbia chiesto in realtà non lo sapremo mai, ma si potrebbe intuire.

Moltissimi di questi messaggi vennero catalogati. Non ebbi più modo di esaminare quei preziosi testi. Dopo la morte dell'amico Prof Ciavolino tutto scomparve nel nulla. Restano  a magra testimonianza di quel tesoro queste poche righe dedicate a quei torresi che loro modo cedettero nel culto dei morti del San Michele.

Ma riprendiamo a leggere la sezione 1 del complesso archeologico.

1        L'attuale piano stradale della Via Diego Colamarino. Siamo sul tetto della colata del 1794. a questa quota dopo l'eruzione venne posto l'attuale pavimento che divise l'intero volume architettonico in due spazi.

2        Dall'interno della chiesa attuale si accede attraverso una comoda scala in muratura al sito archeologico.

3        La scala scende in rapa unica verso il basso. Lungo la parete ovest una finestrella ci mostra dall'alto una vista d'insieme dell'interno della Terra Santa.

4        Le vasche per la sepoltura

5        La vasca cruciforme

6        Uno dei pilastri originali della antica struttura cinquecentesca

7        La porta d'entrata della antica chiesa in parte chiusa dal banco lavico del 1794

8        Davanti alla antica Chiesa esisteva una doppia scalinata che si collegava ad un ballatoio con ringhiera in pietra.

9        Il pozzo dell'ossario

10   Cunicolo sotterraneo inesplorato

11   L'ambiente della sacrestia e della cappella di San Filippo Neri.

12   La tomba del Vescovo. Ambiente a volta decorato a stucco che conteneva a detta del Ciavolino le spoglie mortali di un Vescovo torrese

La sezione che realizzai e tecnicamente poi tradussi in un disegno maggiormente dettagliato ci dà molti particolari degli interni e le destinazioni d'uso degli ambienti. Passeremo ora alla esplorazione di tre cavità . Prima di addentrarci nei dettagli uno sguardo alla piantina generale.

Le aree in giallo corrispondono alle vasche per il seppellimento dei defunti. Con le lettere B e C viene disegnata l'area della Cappella dedicata a San Filippo Neri . Le aree in rosa sono i punti di discesa al sottosuolo. Analizzeremo ciascuno degli accessi e cercheremo di dare una idea d'insieme circa questo dedalo di gallerie intrigato e segreto,  misterioso ed affascinante.

La botola numero 18 è posta al davanti di un altare. È chiusa con un piccola porticina lignea.  Non si riesce a penetrare all'interno in quanto totalmente colma di terra. Per circa 1 metro venne scavata l'imboccatura nella speranza che si aprisse un varco, ma fu un'operazione vana. Dalla terra di scavo vennero recuperate alcune tegole, frammenti fittili generici e molte ossa non intere. Al centro dello stesso ambiente esiste un'altra botola simile, ma anch'essa ricolma di materiale edile. Forse al di sotto dell'intero vano esiste un altro ambiente data la risonanza del pavimento in grezzo.

L'entrata numero 17 porta alla “Cripta del Vescovo”. In origine questo accesso era totalmente occluso da terra e detriti murari. La squadra addetta allo scavo con a capo Giuseppe Marotta compì il “miracolo, liberandola dalla maggior parte di detriti . Si tratta di una camera a pianta quadrata con decorazioni in stucco. Non riuscimmo a giungere al piano di calpestio originario per mancanza di tempo . Il vano comunicava con l'esterno attraverso una scalinata come è possibile vedere nella sezione numero 1. Inoltre questo vano doveva comunicare con il corridoio sotterraneo centrale della Chiesa .

Con il  numero 8 ho disegnato due accessi al centro della Chiesa. Anche questi due ambienti erano totalmente ricolmi di terra . Dopo un faticosissimo lavoro condotto da Giovanni Suarato si pose in luce una scala in muratura che scendendo in basso doveva mettere in comunicazione le due botole. Anche qui il lavoro fu lungo e faticosissimo per la polvere infinita che offuscava a volte l'intero volume sotterraneo e rendeva l'aria irrespirabile.

La botola numero 9 ben incorniciata in legno e ricoperta da una pesante porta conduceva al corridoio centrale.  Lo scavo qui fu interrotto dopo qualche giorno in quanto si rendevano prioritarie altre operazioni di studio.

Le due botole 11 e 12 furono esplorate alla fine del lavoro.  Si tratta di due accessi al sottosuolo attraverso un pozzo verticale. La botola in pesantissima pietra lavica poggia su di una cornice dello stesso materiale . Fu arduo sollevare la botola in quanto la terra circostante franava ai lati della cornice . Dopo la creazione di un castelletto in tubolari di ferro fu possibile il sollevamento del pesante masso e quindi l'accesso al pozzo. Ricordo che venne approntata una dettagliata documentazione fotografica . Il pozzo si presenta come vero e proprio orrido a pareti irregolari scavate nella terra dura e compatta. La sezione è quadrata. Non si riuscì ad arrivare al fondo e solo per pochi metri venne calata una scala per ispezionare e per osservare la natura geologica del terreno. La pericolosità della discesa era data dal fatto che la pesante cornice in pietra poteva franare al di sopra di colui che intraprendeva la discesa. Bisognava quindi porre in sicurezza prima l'area di accesso e poi procedere nella esplorazione . Questa operazione non fu mai eseguita. Tuttavia per circa 4 metri scendemmo in tre. Antonio Avenia che filmò il tutto, io, ed il Professor Rinaldi noto geologo e vulcanologo dell'Università di Napoli . Avevamo interpellato l'illustre scienziato per avere dettagli sulla datazione del conglomerato vulcanico nel quale era stato scavato quel pozzo. Venne escluso in maniera assoluta che si trattasse del fango del 79 d.C. mentre venne proposta una duplice datazione. Verosimilmente si trattava del 1631 ma nulla poteva escludere che si trattasse di una delle grandi e rovinose eruzioni medioevali che inondarono la città in quei secoli “bui” . In ultima analisi si doveva necessariamente scendere più in basso ed arrivare al fondo, per potersi esprimere in termini scientifici .

Il pozzo numero 12 fu quello esplorato per primo, mentre il numero 11 tardò per motivi legati ad una scoperta contemporanea che il Gruppo in quegli stessi giorni andava facendo in zona Sora. Una mareggiata aveva posto in luce travi di legno enormi , pertiche in pino . Frammisti a brandelli di muri divelti al monte fangoso del 79 d.C. questo materiale era inerme e come tale restò circa una settimana in balia del mare letteralmente in tempesta . Fu un'impresa rischiosa scendere sull'arenile per salvare dal mare questi preziosi reperti. Non fu possibile nessuna documentazione fotografica . Solo successivamente venne eseguita una disegno del ritrovamento. Forse le due travi gigantesche e le decine di pertiche facevano parte delle banchine dell'antico approdo della terma romana così come ci descrive il Novi.

Ma torniamo in terra ferma. Dopo circa una settimana venne posta in luce la botola numero 11 . Le fattezze esterne erano quelle della numero 12 . La cornice esterna sembrava più stabile . Immane il lavoro di sollevamento. Una volta aperta la botola fu possibile addentrarci all'interno del pozzo verticale per circa 8 metri , per osservare la natura geologica del luogo. Oltre nessuno si spinse mai per il pericolo di crollo dall'alto.

Andiamo alle immagini per completare il nostro viaggio in questo affascinate luogo di mistero e di culto antichissimo.

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Le due sezioni relative sono relative alla piantina principale . Nel disegno numero 1 si possono osservare i due pozzi verticali dei quali quello ad est terminerebbe probabilmente con una camera. Il pozzo ad ovest invece termina a fondo cieco . Da una certa altezza si possono intravedere macerie , grossi elementi decorativi in pietra. Il disegno numero 2 si riferisce ad una sezione che comprende la navata centrale e quella laterale. ( Per i dettagli di studio degli ambienti si rimanda alla relazione specifica sul CENTRO STORICO )

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Questa immagine mostra l'intera navata  con le quattro fosse laterali e la fossa cruciforme in primo piano.

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L'accesso al corridoio sotterraneo centrale. Si possono notare le tracce della cornice lignea e della porta che copriva l'entrata. I gradini scendono verso il basso fino a circa 50 cm. L'intera area ipogea è ancora da scavare e da riportare alla luce.

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La “Cripta del Vescovo”

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La vasca cruciforme. Sul lato destro della immagine si può scorgere l'accesso al pozzo numero 12

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Giovanni Suarato mentre esplora la “Cripta del Vescovo”

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Rosario Pomposo mentre lavora alla sistemazione dei reperti provenienti dagli “scaravattoli”

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Il pozzo 12 visto dall'alto. Per i primi 2 metri le pareti si presentano regolari ed in muratura. Più oltre si scorge il terreno compatto di una colata fangosa che potrebbe essere attribuita al 1631 oppure ad epoca medioevale.

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Parte dell'aula laterale bloccata nella lava.

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