Presso il porticciolo della ”Scarpetta di Portosalvo”,
in Via Fontana, ci sono
LE CENTO FONTANE
cioè la fontana con 100 cannelle (N.d.R.)
Sotto la rupe del Castello, sulla ripa, c’era una sorgente naturale di
acqua potabile alimentata dal fiume Dragone, il quale, -stando ad antiche
testimonianze raccolte da Francesco Balzano- "aveva la sua origine
alle radici del Vesuvio e, per le campagne correndo per aquidotti le sue
acque agli Ercolanesi comunicava. ...deviando il suo corso, per
sotterranei meati in più luoghi si diffuse, lasciandone a noi poca parte
che in più rivoli sotterranei al mare si conducono, oltre quelle che
scoverte correre si vedono alle sopra accennate fonti” (1).
Tale sorgente era pubblica e ad essa accorreva ad attingere per i bisogni
domestici la popolazione del centro abitato; e doveva essere molto antica
se dobbiamo credere a quel detto locale che ricorda che ”li zuoccole d’e
femmene facettero fuire li turchi da la funtana”, relativo ad un
episodio ai tempi in cui i Saraceni o i Turchi facevano scorrerie nel
territorio: alcuni di questi briganti sarebbero venuti presso la fontana
torrese per fornirsi di acqua, ma un gruppo di donne, sorprendendoli,
avrebbe cominciato a gridare e a fare un gran fracasso con gli zoccoli di
legno battuti a terra con i piedi, per cui tali briganti, impauriti e
confusi, si sarebbero dati alla fuga. Il Balzano racconta pure che dal
castello, per segrete scale, Alfonso d’Aragona si portava a trattenersi
con Lucrezia d’Alagno in dolce colloquio presso tale fonte ”che li
placidamente sgorgava” (2).
Il fonte era proprio vicino al mare e in caso di tempesta le onde lo
invadevano,per cui l’Università, che ne era padrona, dovette costruire
un muro per proteggerlo. Ma ne1 I547 il capitano del tempo Fabrizio Carafa
ordinò di demolire tale muro che si trovava, secondo lui, abusivamente
appoggiato alla fabbrica del castello. Egli inviò tale Fabio Lembo,
ufficiale delle guardie che, con una squadra di operai armati di picconi,
salì sul muro e si accinse all’opera; ma accorse una gran folla di
gente a protestare e l'Eletto del popolo Pietro Ascione che si fece avanti
e gridò in modo minacaioso al Lembo "Si tu sfraveche ’lloco, io
te jetto abbascio a 'lloco", aggiungendovi inoltre delle
ingiurie.
Rimasto interrotto il lavoro di demolizione, ne derivò un giudizio
criminale contro 1’Ascione; e il Carafa, per rifarsi dell'insulto,
chiese ed ottenne dal viceré don Pedro de Toledo 1’uso esclusivo del
fonte, cosa che produsse un altro seguito di ricorsi da parte dell’Università
fino a che questa riebbe il mal tolto.
Con 1’eruzione del 1631 il mare si tirò indietro e, col materiale
alluvionale fatto di cenere e lapilli, si formò una fascia di terreno
sotto il castello, detta ”mare seccato” e il fonte rimase in gran
parte sommerso e, uscendo allo scoperto, formo un ”picciolo rio"
che si portava placidamente al mare.
Poco discosto era altro fonte chiamato dai paesani ”dello Monaco”,
recintato e coperto da una volta, riservato esclusivamente alle donne per
il lavaggio dei panni, con pene imposte dall’Università, a qualunque
uomo vi entrasse (3).
Nel Settecento le acque, servendo a diversi usi, continuarono il loro
corso riversandosi sul lido del sottoposto mare, formando un rigagnolo
detto appunto ”Fiumarello”.
In una vecchia pianta dell' Archivio Municipale pubblicata dal Di Donna ne
”L’Università della Torre del Greco” si può osservare tale
fiumarello diviso in due sul finire; sulla sua via, propriamente sotto il
castello, erano le due fontane.
Per l’inefficienza dei condotti l’acqua s'impaludò e si disperse,
diminuendo la sua portata.
Per incarico dell’Università il rev.don Gaetano De
Bottis, nel 1783, con arditi scavi raccolse 1’acqua |
dispersa e ne
rintracciò dell’altra, convogliandola in nuovi e più idonei condotti;
egli fece poi costruire, in grottoni ricavati nel muro di contenimento e
nel terrapieno della rupe sotto il castello una prima fontana,
architettonicamente decorosa,dotata di ventotto cannuoli e adibita per
bere e fare provviste ed a seconda con nuovi lavatoi comuni che doveva
servire alle donne per lavare i panni. Presso di queste vi fu anche un
mulino, pure sul disegno del De Bottis, che, azionato dalla stessa acqua,
macinava 30 tomoli 6i grano ogni 24 ore. (I tom.= kg.40).
Nell’eruzione del I794 la lava di fuoco si riversò nella zona, mutando
il 1uogo in pietra vulcanica e allungandolo nel mare per parecchi metri
formando il roccione della "Scarpetta", e distrusse anche le due
fontane col mulino. Essendosi ancora l’acqua dispersa, l'Università
provvide a rintracciarla, eseguendo scavi nel sottosuolo della ripa,
riuscendo dopo non pochi sforzi a rimettere il corso regolare dell’acqua.
L’acqua fu convogliata in un punto più basso rispetto al nuovo livello
stradale formatosi con la distesa del manto di lava vulcanica,distante una
settantina di metri da quello antico; fu costruito un nuovo padiglione in
fabbrica, con cento cannuoli che versavano ininterrottamente l’acqua e
con dei lavatoi, ai quali si accedeva mediante uno scalone in discesa. A
causa dell’acido carbonico sprigionato dal suolo durante l’eruzione
vesuviana del dicembre 1861, la fontana si inaridì ancora; si pensò di
costruirne un'altra al largo S.Giuseppe alle Paludi ove esisteva una
derivazione della stessa acqua, ma, poiché era difficoltoso attingere ad
un livello molto inferiore a quello stradale, si tornò a riattivare la
vecchia fontana sotto il castello che, col padiglione architettonicamente
ristrutturato e abbellito, fu inaugurata nel 1879.
Ottima da bere perché molto leggera, indispensabile nei tempi passati
quando le case della città non erano fornite di impianti idrici, tale
acqua fu ancora utlissima ai torresi e agli abitanti dei comuni
circonvicini nel 1943-44 quando,a causa degli eventi bellici, l’Acquedotto
Vesuviano rimase inattivo per diversi mesi (chi, anziano come me, non
ricorda gli acquaioli ambulanti che giravano per la città col carretto;
chi non andò personalmente o con i familiari con la giara o le damigiane
in mano per fare provvista in quei mesi?).
Poi ad un certo momento ci si accorse che quell’acqua era inquinata per
infiltrazione di alcune fogne e fu deviata in mare. Il Comune pensò di
depurare e riattivare la sorgente, fece ristrutturare la fabbrica,
progettò di risanare l’area circostante con la creazione di un parco a
giardino con panchine, di fare del luogo un punto di richiamo per
manifestazioni popolari ma...tutto è rimasto fermo e dell’acqua neanche
uma goccia. La fontana è ancor oggi ostinatamente muta e abbandonata,
tanto che l’area d’intorno, invece che un giardino, è diventata un
vasto immondezzaio, spettacolo indecoroso e mortificante che spiace a
tutta la cittadinanza pur sempre gelosa della custodia dei suoi rari beni.
Nella già riportata Pianta Dimostrativa del Raimondo nella pagina IL
CASTELLO si possono osservare: l’antica fontana del Monaco (E), la
fontana del De Bottis costruita nel 1783 (F), la foce del fiume
sotterraneo Dragone ai tempi di Alfonso I d’Aragona (G),l’attuale
fontana ripristinata dopo l’eruzione del 1794 e restaurata nel 1879 (H),
lo scalone della detta fontana (I), la linea approssimativa della
battaglia prima dell’eruzione del 1631 (J).
Il Corso Cavour, formatosi su un livello superiore di oltre tre metri
sulla vecchia via Mare, seccato poi Via sotto la Ripa, in conseguenza
dell'eruzione del 1794, conserva ai suoi lati parti della vecchia strada
sottostante con file di case rimaste indenni, alle quali si accede
scendendo degli scalini. A sinistra una colata di lava vulcanica scenda da
Via A.Luisi in forma gigantesca, coprendo vecchie case.
1) F. Balzano: op. cit. pag. 9-13. 2) F. Balzano: op. cit.
pag. 54. 3) F. Balzano: op. cit. pag. 54.
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