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GIACOMO LEOPARDI VEDI:
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VILLA PROTA
Questa volta di Via Nazionale, 1009. Questa è giudicata una delle più
interessanti e affascinanti ville vesuviane. Come la Bruno-Prota essa si
differenzia dal tipo più frequente del genere poiché non ha la facciata,
prospiciente la strada, ma addentrata. All’ingresso è un monumento
portale raccordato al muro di cinta con belle volute barocche e
fiancheggiato da due balconi ornati di belle balausre in piperno
traforato.
Un lungo viale rettilineo conduce all’edificio principale che mostra la
facciata movimentata da balconi e finestre riccamente decorati, che ha al
centro, al secondo piano, un grande arco loggia pendulo. Il motivo del ”traforo”
sembra dominare tutta la decorazione sia dei balconi che dell’arco.
Ignoto il nome del geniale architetto. Il parco, ricco di vegetazione, è
andato recentemente in parte di strutto per la costruzione di un complesso
sportivo privato (tennis, piscina, parcheggio auto, ecc.) cosa che
costituisce una grave offesa al nostro patrimonio artistico troppo poco
tutelato.
Imboccando sulla sinistra la Via G. Leopardi si arriva alla
VILLA FERRIGNI,
ORA "...DELLE GINESTRE"
La villa appartenne in origine al canonico Giuseppe Simioli (1713-779),
poi al nipote canonico Andrea Simioli, indi alla sorella di costui
Margherita che sposò Diego Ferrigni; ancora al figlio di questi ultimi
Giuseppe che nel 1826 sposo Enrichetta Ranieri e fu valente avvocato e
letterato napoletano. Questi offrì la dimora al cognato Antonio Ranieri
perché conducesse l’amico poeta Giacomo Leopardi conosciuto a Firenze,
infermo e bisognoso di aria salubre.
Il poeta venne la prima volta dall’aprile al giugno 1836 e nelle sue
passeggiate osservò il territorio sovrastato dal minaccioso vulcano e
cosparso di rudi e arsi costoni di lava sui quali fiorivano le ginestre,
ascoltando dalla viva voce dei contadini i racconti delle funeste
eruzioni. Rientrato a Napoli dovette ritornare alla villa per ingiunzione
dei medici nell’agosto seguente; andò agli Scavi di Pompei e ancora
verso le falde del Vesuvio.
Vi trascorse l’inverno e compose allora gli ultimi suoi scritti: ”La
ginestra”, il canto sconsolato e sublime che è la "summa”
che unisce in una sola visione lirica i più intensi e profondi elementi
della sua filosofia e della sua poesia: la teoria della Natura, forza
brutale, cieca e ostile all’uomo, la negazione di ogni sforzo umano di
progresso, l’illusione nella vita che viene distrutta; ”Il tramonto
della luna”, che è il canto bellissimo della melodia dell’addio.
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Giacomo Leopardi L’ultimo
suo canto, l’ultimo suo sospiro luna tramonta al mattino dietro i monti
dell’Appennino o nelle acque del golfo di Napoli; il mondo s’immerge
nel buio e si scolora, la notte resta oscura, il carrettiere solitario che
va per la strada cantando mestamente (uno di quei carrettieri che
passavano una volta sulla Strada Regia poco distante) si congeda da quella
luce che lo accompagnava. Così si perdono le speranze a cui la vita si
teneva aggrappata e la vita stessa resta oscura e abbandonata.
Invano il confuso viandante di questo mondo, l’uomo, cerca una ragione
del suo camminare e della sua esistenza e s’accorge che lo stesso mondo
gli è diventato estraneo; ”I Paralipomeni” sono una satira
delle tirannidi che opprimevano l'Italia, terribile e carica di sgomento
per i contemporanei; nei ”Pensieri” è un ritratto amaro e
polemico della società, che scopre impietosamente i difetti e le bassezze
umane.
Ritornato a Napoli nel febbraio ’37, il poeta, assistito dalla famiglia
Ranieri, vi morì il 14 Giugno seguente. Ia villa passo poi in eredità
nel 1864 ad Argia Ferrigni, figlia di Giuseppe; nel 1902 al di lei figlio
Amerigo Di Gennaro; nel 1907 ad Antonio Carafa D’Andria, figlio
Enrichetta Capece la cugina di Azerigo; ancora a Vittoria Carafa D’Andria,
sorella di Antonio e sposata De Gavarao.
Nel 1962 è stata acquistaa dall’Universita ”Federico II” di Napoli
per accogliere un Centro di Studi Leopardiani, in collaborazione col
Comune di Torre. La dimora, tipica dell’ultimo Settecento napoletano,
posta in un fondo rustico sulla lava vesuviana, ha, al piano terreno
quattro stanze di cui una fungeva da cucina con maioliche di Vietri sul
Mare, in parte reintegrate; una scala conduce al primo piano dove e la
camera disadorna del poeta con un armadietto, una scrivania, un letto di
ferro con due tavole, delle sedie. Il portico neoclassico, a colonne
doriche, su tre lati, di gelida compostezza, che sostiene una terrazza
aperta al panorama, è stato aggiunto nel 1907.
Su una delle facciate e la lapide apposta dal Comune ci Torre nel 1937
nella ricorrenza del I Centenario della morte del Poeta. La villa è
attualmente sorvegliata da un custode che vi abita con la famiglia ed è
sempre disponibile per le visite.
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