L'ultimo puparo torrese  pag. 5

CENNI STORICI

IL NOME - PUPI
A NAPOLI E IN SICILIA

Scarsissime sono le notizie pervenutoci da coloro che scrivevano nel secolo passato, è ha quel poco di quello prima e all’altro scritto in questo secolo, aggiungo le cose mie vissute in prima persona per ricostruire una parte di storia della tradizione napoletana.
Incomincio con quello che ho potuto captare con le ricerche fatte; coloro che hanno scritto non hanno detto tutti la stessa cosa è le notizie non collimano e io qui riporto tale è quale come ce l'hanno tramandate: c’è chi dice che si chiami opera dei pupi per le storie guerresche rappresentate, questa è la prima versione che secondo me non è giusta, da anni ho sempre saputo che il pupo è una marionetta “armata” è va detto teatro di marionette ho delle marionette, “lo ricordo bene per averlo scritto per la prima volta con la tinta e il pennello ha lettere cubitali sopra l’entrata del teatro di via Antonio Luisi a Torre del Greco nel 1939” , diciamo una buona volta che tre sono i nomi dei pupazzi in Italia, “MARIONETTA” ch'è quella completa di corpo gambe e braccia, il nome li fu dato a Venezia (4).
L’altra senza corpo senza gambe si chiama “BURATTINO” (5) e nel napoletano “Guarattella” mentre “FANTOCCIO” è il nome generico, queste cose furono pubblicato per la prima volta nel 1875 sulla Nazione di Firenze da YORICK (6). Un altro quesito enigmatico è quello di capire dove sono nati i primi fantocci?…Anche per questo troviamo versioni diverse: uno ci dice in Egitto, l’altra in Cina, altre ancora in Grecia. Quest’ultima può essere la più attendibile per le testimonianza pervenuteci da Semafonte, da Platone e da Aristotele, uomini della Magna Grecia.
Nel medio evo i pupazzi operavano nelle chiese è rappresentare spettacoli religiosi illustrando scene della storia Santa. (7) Nel corso dei secoli li chiamavano fantochini (nome che si dice solvente di Generale). Io ricordo che tanti anni fa i soldati dell’Esercito Italiano li chiamavano “fantocci”. …


                            Mostro in scena
La presenza di questi fantocci nell’antica Roma ci viene conferma da “Tito Petronio Albitro” e “Marco Aurelio” (8). Gli antichi romani li chiamavano “Pupae imculai animatae sigillae e homunculi” da questo pare che sia stato estirpato il nome latino che conosciamo ed è un vezzeggiativo che si da ai bambini romani usato ancora oggi; per questa si può supporre il nome pupo nasce a Roma. Sappiamo che opera per eccellenza è il concorrere di tante arti insieme e lo si può attribuire a tutte le cose artistiche, i pupi, fatti da un artista scultore del legno è un opera propria, le due cose messe insieme si ricava l'opera dei pupi.
Cercando, cercando, troviamo che le marionette armate furono introdotto a Napoli per la prima volta dai Titores Castiglioni venuti al seguito del vice Re spagnolo nel 1646. Fecero uno spettacolo in suo onore il “DON CHISSIOTTE” del Cervaters autore spagnolo (9). Dopo questo avvenimento troviamo tutto buio per circa due secoli, la storia a Napoli si riprende nella prima metà del 1800, con i teatri che fecero da caposcuola: LA STELLA CERERE ubicata nei pressi di piazza Mercato, il “MASANIELLO” in via della Marinella, il “SILFIDE” , il “SEBATO” dove furono messi sulla scena per la prima volta avventure di sangue e di Briganti, il teatro della mamma di Antonio Petito “DONNA PEPPA” all'epoca Giuseppina Del Rio, il suo teatro ci viene segnalato in più zone della città, alla Marina delle Limoncelle in zona porto, al largo del Castello, a Porta Capuana, nelle vicinanze di piazza Mercato, nei Quartieri Spagnoli, in via Mezzocannone; per tutte questi suoi spostamenti venne definito un baraccone mobile con una tendopoli come quelle dei Circensi.
Un’altro teatro che ha fatto storia e va ricordato nasce negli ultimi anni de lo stesso secolo in zona porto con il nome “ERCOLE” dopo poi quando il piccone distrusse il glorioso “SAN CARLINO” di piazza Castello nel 1894 il proprietario dell'Ercole Salvatore Buonandi si appropriò di quel nome è ribattezzo il suo teatro di Foria ch'era accanto porta San Gennaro era lui l'artefice dopo di lui continuarono i figli e poi cedettero tutto alla sorella Angela moglie di Don Gennaro ‘O Scassacarozza gestore del Cinema teatro PARTENOPE ch'era ha pochi passi da l'opera dei pupi in piazza Cavour, don Gennaro con tutta la sua famiglia abitavano al piano superiore della Partenope e in soffitta avevano il deposito dei pupi e altro materiale teatrale, negli anni cinquanta crollò una parte dell’Ospedale Inguaribile ch'era alle spalle del cinema sotterro tutto il materiale pupi compresi, per tutto il tempo della lunga causa civile impugnata da don Gennaro contro l'amministrazione dell'Ospetale, dopo anni quanto mossero le macerie il materiale sotterrato non era più ricuperabile.
Il San Carlino di Foria era a regola teatrale con posti di platea due ordini di palchi e il loggione per la piccionaia. L’ultimo a gestirlo prima della chiusura totale fu l’amico GIUSEPPE FERRIERO conosciuto come “Peppe ‘O Fricchione”: la chiusura di questo teatro è stata veramente un peccato era l'unico teatro dei pupi che poteva restare come testimone di una tradizione che non c'è più, poteva essere attrezzato come museo del settore, avrebbe fatto da monitor per il turismo, in quel teatro si poteva creare una scuola di avviamento all’arte dei pupi per i giovani come hanno fatto a Palermo e a Trieste (10).
Un’ altro teatro che durò più di vent'anni nello stesso locale fu quello dove ho imparato l’arte a Torre del Greco.
Dai primi teatri detto vennero fuori i giovani per l'arte è le grandi famiglie per la diffusione in tutto il territorio Campano, Calabria, Puglia e Basilicata, gli uomini si barbicarono nelle province "detto" facendo teatro e i figli hanno continuato la tradizione per tutta la metà del secolo. Le famiglie sono state numerose non tutti i figli appresero l’arte del padre qualcuno s'inserì in altri settori.
Le famiglie che hanno fatto la storia dalla metà del 1800 in poi. Sono i Di Giovanni, i Corelli, i Perna, i Buonandi più numerosi sei i capostipiti dopo i figli per tutto la metà del 1900 e adesso troviamo gli eredi non solo nel meridione ma anche in altre regione d’Italia: di queste famiglie ne ho già parlato più in dettagliato in un’altra mia pubblicazione (11) questo è una continuazione di quando già detto: un nipote di quel Luigi Buonandi "quello che fece lavare il camice di Pulcinella" un Luigi anche lui era un commediante, si trasferivo da un paese all'altro si raffermò in Toscana, troviamo l'erede a Firenze la figlia Maria: nella città di Benevento ci sono altri due attori commedianti Mario e Carmine nipoti di Domenico, un altra Maria figlia di Giovanni lasciò le scene per farsi una famiglia a Taranto, questi tre li ho conosciuti per la prima volta nel 1944 quando lavoravo con Arturo Vedrano, con Mario e Carmine ci siamo rivisti altre volte a Napoli nella galleria Umberto 1° dove una volta era il ritrovo dei teatranti, "nel 1946 sotto la galleria mi scritturarono per una recita staccata ad Averza, arrivato sul posto la sera del debutto nello stesso teatro c’erano i fratelli Carmine e Mario con la compagnia a quasi tutti di famiglia per la prosa, fecero CICCI ‘O PEZAIOLE DO CARMENE io era per il varietà che facemmo dopo la prosa".
Non sono un parente di questa grande famiglia so tutto perché amico di famiglia da sempre, ne parlo per la passione all’arte teatrale; per ultimo non posso ignorare chi ancora sta sulla breccia con amore e tenacia nello spettacolo, e pare che sia l’ultima della famiglia che ha fatto la storia dell’opera dei pupi nel napoletano dico della signora Alba Buonandi maestra di danza a Torre del Greco esercita da anni la professione con grande capacità; la signora Alba ce la nel sangue l’arte, la ereditato dal nonno e dal bisnonno Pasquale anche lui.
Era una vecchia tradizione meridionale battezzare i figli primo figlio col nome del nonno, col passare degli anni troviamo più persone della stessa famiglia con il solito nome, esempio “Rossi figlio di Rossi nipote di Rossi”, così hanno fatto gli antenati della maestra Alba.
Con le notizie raccolte da più fonte mi consentano ricostruire come e quando questi si allontanarono dalla città capoluogo, sappiamo che il grande sviluppo del settore e avvenuto nel XIX secolo, una decina d'anni prima delle finiva di quel secolo si scioglie la compagnia diretta da Francesco De Simone (maestro di tutti), gli allievi si misero in proprio, i Buonandi a coppia tra fratelli restarono fino a quando i figli si fecero adulti si moltiplicarono le compagnie. 

  
                Maschere per fiabe e leggende
Ci fu chi rimase a operare a Napoli e chi si allontanò ha cercare altre piazze, Filippo Buonandi con i figli Carmine Vincenzo e Maria, scelsero per primo Torre del Greco una tappa di pochi mesi si trasferirono a Castellammare di Stabbia dove la figlia Maria si sposò con Francesco Verbale da questo matrimonio nacque Ciro “l’erede all’arte”, un bravo maestro e autore di testi (vedi).
Ciro ha portato avanti la tradizione fino alla metà di questo secolo. Pasquale Buonandi con i figli Salvatore, Pasquale, Alfredo e due figlie femmine vennero a Torre è coprirono la piazza lasciato da Filippo, i figli di Pasquale si accasarono in questa cittadina lasciandoci gli eredi che troviamo ancora oggi. Domenico "della stessa famiglia" con i propri figli Giovanni e Carmine con lo spettacolo viaggiante girano per la Calabria in Puglia è la Basilicata.
Luigi e Salvatore rimasero a lavorare nel San Carlino a Napoli. Gennaro (anche lui un Buonandi) con i figli Alberto, Angelo e Salvatore da Giugliano si trasferirono a Portici anche questi hanno esercitato come gli altri già detto. Nicola Corelli anche lui dalla scuola del De Simone, con i figli Vincenzo e Amedeo Alberto e Arturo approdarono a Torre Annunziata, aprono teatro stanno uniti fino a quando muore il capostipite Nicola, dopo i fratelli si divisero: Vincenzo rimase a Torre Annunziata, Amedeo apre teatro a Castellammare di Stabbia e copre il vuoto lasciato dal Verbale per trasferirsi a Napoli città. Arturo apre il Teatro Corelli a Trecase che poi lo trasforma in un cinematografo. Il quarto figlio si avvia ad un altro lavoro di lui si sono perse le tracce. Luigi Di Giovanni (per i colleghi Luigiello ‘O Guaglione) con quattro figli, Antonio, Vincenzo Giacomo e Saverio rimasero a lavorare nella città capoluogo aprendo e chiudendo teatri.
Ho parlato solo delle famiglie più numerose che possono essere definiti i pilastri portanti di questa ormai sparita tradizione popolare durata per più di un secolo. Ci sono stati altri personaggi anch’essi bravi ma che non hanno lasciato eredi all’arte come: Giovanni La Rocca, Gennaro Ferrara, Mimì Finizio, Francesco Abruzzese, Vincenzo Russo, Giuseppe Cristiano "genero di Pippe Buonandi" ed altri, Gennaro De Simone figlio di Francesco aveva un solo figlio che non ha accettato l’arte di suo padre, Ciro Perna "‘O Scudiero”, il figlio Giuseppe ci ha lasciato l’erede Ciro junior con sede a Frattamaggiore recentemente scomparso e sono rimasto l'ultimo depositario dell'opera dei pupi napoletani.
Un altro teatro che va ricordato è il PERRELLA (12) ubicato nel quartiere Stella nel rione Sanità dove ci andava spesso un ragazzo che seguiva con interesse i movimenti legnosi del pupo per poi imitarli alla perfezione, il piccolo Antonio Clementi. Cresciuto il ragazzo entra a lavorare nel mondo dello spettacolo conquista la grande platea del teatro prima e quella del cinema dopo a fatto tanti filmi con successo tanto che lo giudicarono il re della risata è inutile fare giochi di parole perché mi avete capito vi parlo del Principe De Curtis, l’attore marionetta per eccellenza fino all’inverosimile. Al grande Totò ci sentiamo di riconoscerlo come il portavoce indimenticabile di tutti i marionettisti d’Italia.
L’Arte del pupante ero assai faticoso e stressante non paragonabile a quella dell’attore di teatro e del cinema, veniva poco considerato dai critici, per loro erano teatranti di seria B non si occupavano di loro, solo adesso lo stanno rivalutando (d'oppe muorte mbuzarate).
In questi ultimi anni è entrato a fare parte del teatro di animazione come tutti gli altri fantocci, prima nessuno si occupava dei fatti loro, ragione per cui sono rimaste pochissime tracce dei pupi napoletani mentre troviamo molto dei Siciliani, di questi si e detto tutto dal' A ala Z, se per caso si parlava con altri nella Galleria ha l'epoca del ritrovo dei teatranti alla domanda cosa sai fare e tu li rispondevi quale era la vera tua professione ti sentivi rispondere “già chille ‘e l’opere ‘e pupe” è ti trattavano come uno da poco perché non sapeva nulla del tuo lavoro, più volte il maestro a questi signori li rispondeva “perché quello dell’opera dei pupi non è un uomo come l'altro? Sono figlio d’arte vengo dal casotto” come se volesse dire vengo dalla gavetta.
Un aneddoto: nel 1946, lavoravamo nel teatro del Popolo (un teatro con i pupi) accanto al teatro Partenopeo, all'epoca Oscar DI Maio recitava li, una sera ci venne a far visita sul palcoscenico per guardare da vicino come si svolgeva il lavoro. Restò con noi per la prima parte dello spettacolo, quando ci salutò disse "voi siete più artisti di noi con gli occhi leggete la parte, con le braccia animate il pupo di un certo peso, con i piede fate i rumori e date il tempo al combattimento, noi recitiamo facciamo qualche gesto e basta”.
Un complimento fattoci da un attore regista e commediografo quale lui era negli anni quaranta e cinquanta aveva la sua importanza. Il lavoro del semplice pupante terminava con la fine dello spettacolo, quello del direttore non finiva allo stesso modo dopo l’ultimo spettacolo serale tornava a casa è preparava la spettacolo per la sera dopo.
Dai vecchi copioni scritti da più di un secolo tagliava le scene più noiose che riteneva insignificanti lasciando lasciava le migliori, avvolte da due copioni ne faceva uno con il cancellare e aggiungere battute, dopo di questo se ne andava a letto, alla mattino dopo cominciava la giornata nel teatro scrivendo il cartellone per la serata esponendolo fuori dal teatro, nel deposito spogliava e vestiva i pupi, anche questo lavoro gli portava via del tempo, finiva alle ore 14 per andava a desinare e riposarsi, alle 17 apriva il teatro e alle ore 18 iniziavo il primo spettacolo, l'altro alle 21.
Nei giorni festivi gli spettacoli erano tre: il primo alla 16, la sala si riempiva di ragazzi che facevano una caciara dell’anima tutto il tempo dello spettacolo si sentiva solo il vociare dei ragazzi ne una parola della nostra recitazione proprio come fanno oggi i giovani quando vanno a sentire un concerto delle Star; sono un pessimista e sospetto che i grandi cantanti nell’urlare degli spettatori pronuncino anche parolacce e mandino accidenti come facevamo noi ai ragazzi che non s’azzittivano nemmeno all’invito “fate silenzio per piacere” ci costringevano ha dire qualche parolaccia: ho detto d’essere pessimista ma non sono maligno per sospettare dei nostri divi che vanno per la maggiore e fanno il loro lavoro con gli apparecchi elettronici a tutto volume. E’ l’epoca dei rumori non solo per gli apparecchi sofisticati della musica e il canto ma per quello delle macchine e motorette che ce ne tante, non so se sono nocivi alla salute.
Cercando cercando, troviamo che i pupi a Palermo sarebbero arrivati col napoletano Gaetano Greco nel 1826, e rappresentava storie di Pulcinella e Culumbina. Un suo discepolo Liberto Canino due anni dopo si mette in proprio e si contende il primato di essere stato il primo puparo palermitano, ma viene riconosciuto solo come allievo di don Gaetano ed è un dato di fatto.
Altri ci dicono che i pupi nell’isola sarebbero sbarcati per una tradizione romantica legata al Risorgimento nel 1861 per opera di Giovanni Grasso nonno dell’attore omonimo “mercante” di pellami e fustagno per sfuggire ai doganieri borbonici ripiegò a Napoli (13) dove imparò l’arte del puparo e dopo l’unità d’Italia se ne ritornò a Catania. Aprì il suo primo teatro nel corso Garibaldi lo chiamò teatro MACHIAVELLI avviò storia di “GUERIN MESCHIMO” del Barberini; un'altra fonte ci indicherebbe come il più antico puparo Catanese “Gaetano Crimi” con il suo teatro a Catania già nel 1837 (14): non so quale versione sia quella giusta, a mio avviso direi la prima per la tecnica usata dagli operatori catanesi per essere troppo uguale alla tecnica napoletana i pupi vengono manovrati dall’alto di un ponte istallato sul fondo scenico, fanno uscire i personaggi cristiani dal lato sinistro dell’operatore e quelli pagani dalla destra, i pupi hanno sempre la spada in pugno, i colori delle veste sono il rosso per Orlando e il verde per Rinaldo, sono tutte cose uguali, precise alla tecnica napoletana, sola il combattere e come tutte la tecnica siciliana l’asticella di ferro sulla mano destra e non il filo come i napoletani.

A Palermo è tutto il contrario di quando ho detto; l'uscita dei personaggi i colori delle vesti, il verde per Orlando e il rosso per Rinaldo, la manipolazione del pupo viene fatta da dietro le quinte l'animatore è sullo stesso piano del pupo e non dall'alto di un ponte come i napoletani e i catanesi, alla Sicilia una cosa sola li va riconosciuta ed è quella di non arrendersi e portare avanti la tradizione secolare con tenace, mentre i napoletani hanno sotterrato la tradizione lasciandoci pochissime tracce.