Cap. I - Pag 25 | ||||
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Evoluzioni socioscientifiche che hanno dato un taglio netto a due epoche. Le carrozze sui basalti non sonavano fragore o dirugginii, ma accordi melici. Reminiscenze romantiche che hanno sentore nostalgico, d’accordo. Ma l’asetticità dei giorni nostri non sa meno d’infermità. Una terra ferace, quella vesuviana, che fa invidia alla motriglia del Nilo. Due raccolti l’anno. Fertilità del terreno grazie anche all’«ingerenza» delle sostanze eruttive dello sterminator Vesevo, che si è accanito nei secoli a svellere in rovinose devastazioni ora le mirifiche e sontuose ville vesuviane, ora i tuguri fatiscenti relativi alla letteratura verista e neorealista. Sempre nel quadro della napoletanità i nostri autori a cavallo dei due secoli mettevano l’accento su di un personaggio ora grottesco, ora romantico, a mezza strada tra il barbassoro e il fattucchiere, che si può definire, senza tema di smentita, una sorta di derivazione dell’amanuense: lo scrivano! Quando, imberbe, apprendevo i primi rudimenti dell’arte tipografica, rammento con nostalgia un vecchio scrivano che, tra l’altro, ha tanto colorito di lirismo la mia fantasia. Veniva a Torre del Greco, a piedi, |