angolo. Le amministrazioni imbandivano spesso gare fittizie. In
poche parole transitava un periodo di crisi ancora oggi per nulla
risolto. Spesso rivedo Luigi Ficasecca nel suo monolocale, angusto,
fuligginoso, unto dappertutto. Stanco, emaciato, curvo sotto quell’aria
affettatamente esuberante di sedicente direttore tecnico. A lutamme,
rispondeva al mio fugace saluto formulato sull’uscio della sua
bottega, con l’aria derisoria e beffarda quanto puerile che assumono i
candidi quando vogliono apparire sarcastici, allo scopo di saziare gli
occhi del mondo, l’opinione altrui. ’A munnezza,
contrabbattevo io, ricusando il doppio senso di a lutamme, che
non sta per salutamme con aferesi della s, ma come a
lutamme: il letame. Altre volte adoperava come intercalare in
risposta ad un cenno di stupore: E tu che te credive ca ch’era?,
dove gli ultimi lemmi non stanno per cos’era, ma cachera,
ora più esplicito; e via dicendo. L’ultima volta che mi recai a
Napoli per rifornimenti presso il Corpo di Napoli, dove si concentrano
diversi fornitori per arti grafiche, decisi di fare una scappata pure da
Luigi Ficasecca, magari sfrocoliandolo sul non aver mai capito
un fico
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dell’arte nera. Era raggiante nel suo tugurio. Mi
disse che aveva ripreso l’hobby di essiccare i fichi al sole per le
ciociole di Natale. Facevo finta di non accorgermi che aveva, almeno
apparentemente, assunto un apprendista. Alla fine sbotto: «Ma ’o
vide ’o guaglione, o no?». Aveva gli occhi lucidi. Sembrava un
regnante detronizzato e diseredato che, sul lastrico, dopo mesi di stenti,
ripiegava con uno scranno in luogo del trono. Al mio sorriso solidale non
trattenne le lacrime. Le pressioni nostalgiche premevano troppo dal basso.
Ed io gli volevo bene, amavo la scimmia umana, mio simile, che impazza da
adolescente con l’ardore, l’impetuosità, l’azione. Poi sorge, gode,
folleggia la giovinezza, indi lotta e difende la sua posizione, poi cade,
poi annaspa, difficilmente si risolleva definitivamente, anche perché
incombe la drammatica fase senile. Luigi Ficasecca si terse col fazzoletto
quel viso villo e grinzoso e riprese a parlare del più e del meno.
Discutemmo sul lavoro clientelare, la crisi economica, le pressioni
fiscali. Dopo che avemmo centellinato una bibita il ragazzo sbircio l’orologio
da polso e senza fiatare raccolse una banconota dalle mani del vecchio ed
in piena
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