|
||||||
Cap. 5 - Pag. 176 |
Cap. 5 - Pag.177 | |||||
oggetti in disuso a Capodanno, sacchetti di rifiuti domestici dietro il «vigore» della pigrizia. La carta stampata, anche minuta, rappresenta la modesta alternativa alla logorrea dei campani. Il cosiddetto non sputare mai e per noi, ricambio d’ossigeno. Se vuoi uccidere un napoletano condannalo al mutismo, tappagli la bocca, dopo due giorni non respirerà più neppure col naso. La parola stampata, invece, un po’ esotica ed aulica, associata all’atavica suggestione del verismo figurativo, giustifica l’enorme quantità di carta stampata prodotta in Campania durante le consultazioni elettorali. V’è una sorta di meccanismo inconscio, nel mio popolo, che insuffla credibilità a tutto ciò che è stampato. Un bozzetto eccellente di un lavoro tipografico rispetto ad un equivalente pessimo lavoro già stampato perde di credibilità, da noi. I cartai fornitori per arti grafiche sovente portano i ceri a S. Gennaro nella speranza che il governo vada in crisi. Ogni referendum è un terno secco per loro. L’Immacolata Concezione e la compatrona di Torre del Greco; la festa ne è caratterizzata dall’accensione di numerosi falò alla vigilia. Nel dopoguerra migliaia di volantini e |
manifesti
elettorali sostituivano il faticoso insufflaggio tramite gli scarseggianti
pruni e sterpi. Le vecchie impalcature del boom edilizio degli anni 60
lanciavano le fiamme sino in Paradiso a ringraziamento dei vani ricevuti.
Tre elementi infiammano, invece, le mie reminiscenze puerili: lo
sfarfallio dei fac-simile elettorali sotto il sole mai avaro; il
veleggiare del bucato sciorinato sulle corde di canapa tra balcone e
balcone e l’effluvio di naftalina esalante dalle balle di indumenti
donati dai liberatori o dalla Croce
Rossa lungo la salita del
Mercato di Shangai di Ercolano. |