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Nell’Ottocento napoletano nacquero numerose pubblicazioni periodiche. Agli albori del secolo uscirono il Monitore delle due Sicilie e Il Corriere di Napoli. La Voce del Secolo vide la luce nel primo quarto di secolo, indi La Voce del Popolo, La Minerva Napoletana, ecc. A metà secolo compaiono i periodici L’Omnibus Letterario e Il Tempo.
Il vero rinnovamento letterario, come è ben noto, nasce con la critica di Francesco De Sanctis e Bertrando Spaventa. Perseguitato politicamente come il De Sanctis fu Luigi Settembrini, altro ingegno lucido. Già nel Settecento la letteratura dialettale aveva avuto le prime affermazioni, ma nel Risorgimento se ne riscontro la massima fioritura con Salvatore Di Giacomo e Ferdinando Russo. Si affermò definitivamente pure la Canzone Napoletana, nata con i canti popolareschi del XV secolo, dopo che Alfonso d’Aragona decreto il dialetto come lingua ufficiale del Regno. Le tipografie vesuviane sorgevano sempre più numerose, dislocate in provincia ed agglomerate nel Centro storico intorno all’Università. Qualche opificio già tentava

pubblicazioni su scala nazionale, ma si era ancora lontani dalla massiccia produzione editoriale moderna. In qualità di tipografo artigiano devo faticare per trattare argomenti socio- industriali. Essendo al di qua del campo tecnocratico devo trarre delle conclusioni solo dall’esperienza libresca, benché sia abbastanza infarinato, pure in maniera empirica nel complesso delle tecnologie industriali, non addentro, comunque alle problematiche della tecnocrazia. In fondo, è inutile reiterarlo, questo modesto lavoro non segue una linea tecno-politica, ma socio-lirica di un’arte applicata. Non vedo quale poesia si possa cogliere dalla robotica industriale e, nella fattispecie, dalle turbostampanti ed il loro legame socio-finanziario. Quindi ritorniamo nella dimensione che ci compete e guardiamo insieme lo sviluppo editoriale con l’occhio innocente del popolo. Ho già detto che alcuni complessi tipografici campani sono la risultanza dell’evoluzione di antiche tipografie artigiane, le quali, approfittando del boom economico degli anni 60 e di un certo lassismo fiscale, nonché dei benefici della buonanima Cassa per il Mezzogiorno, realizzavano il sogno di