operatore, sia esso lontano tipografo romantico o
moderno designer, e quello di stimolare, in primo luogo, la fantasia e
la sfera affettiva non solo individuale, ma relativa a quella sorta di
personalità di massa degli osservatori. In più vengono adottate
tecniche di contenuto e di forma atte a modificare l’assimilazione,
come, ad esempio, nelle rappresentazioni teatrali o audiovisive vengono
previste tecniche psicologiche analoghe, cioè pause o posposizioni onde
consentire i commenti, le risate, le interiezioni della collettività
implicata. Così nella progettazione grafica si tiene conto di tutte le
passibili reazioni psicologiche dell’osservatore. Spesso fanno gioco
oltre la trasfigurazione allegorica e l’ambiguità del reale, l’ironia,
il paradosso, il grottesco, il desueto o, meglio ancora, l’originale e
l’inedito. Dalla vecchia vignetta (da vigna, motivo floreale)
caricaturale di stampo pittorico propria della litografia ottocentesca,
si passa all’analisi psicologica, attraverso elementi grafici
formati essenzialmente da un amalgama di artificiosità fototecniche:
riprese fotografiche elaborate, scritte di tono invertito, spesso
dirottate sull’inventiva desueta,
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puntando pure sullo stimolo che si ricava con l’irrazionale
e la componente stupore. Pur se spesso si nota, come in tutta la
grafica offset, una frequenza di moduli standardizzati. Trovano, intanto,
soluzioni molteplici l’alternanza dei colori e le tecniche prospettico -
tridimensionali. I manifesti commerciali, anche grazie alla rivisitazione
di certi canoni etico- religiosi, cadono spesso nel banale, nel mediocre
della sensualità ridicola. Senza contare le trasgressioni lessicali o
grammaticali volute. Gli esotismi, comunque, i solecismi, i dialettalismi,
per altro diffusi dai mass-media, dalla stampa d’in- formazione e da una
certa letteratura sperimentale, non hanno, tutto sommato, nulla di nocivo
per un pubblico moderno ed erudito, che li sa riconoscere e valutare nella
giusta ottica, ma che dirottano, nel contenuto, il discorso arte-cultura,
prerogative da sempre sostenute dalle arti applicate. Cosa dire, poi, dei
manifesti politici dove, molto spesso, d’arte non se ne sente neppure l’odore?
Nei lavori di correnti politiche cosiddette democratiche la nota artistica
fa capolino di tanto in tanto, ma Dio ci scampi dai manifesti di regime
totalitario, che insistono solo sugli
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