retorica. Le cose che sanno di latte materno, di
corse nei prati, di candore ed onestà non sono esprimibili con linguaggi
moderni, artificiosi, istrionici e fallaci. Care botteghe disperse nelle
viottole barrocciabili delle contrade rurali vesuviane, o negli anfratti
oleografici dei centri storici, nel labirinto dei dedali della provincia
prischiana; neri fondachi dell’arte nera, nei quartieri bassi dei
paesini campani più antichi. Care botteghe adattate negli stambugi
nascosti dei vicoli mai risanati della Napoli povera di delbalziana
memoria, o nei tuguri addossati nelle traverse dei numerosi centri
urbani abbarbicati alle pendici del Vesuvio, o quelli che vanno da Capo
Miseno alla Punta della Campanella, o altri ancora dell’entroterra
fino al Casertano, all’Avellinese e al Beneventano, addio! Tipografie
romantiche, prestigiose gemme nere della cultura partenopea, là nei
sottoscala, lungo i chiassuoli vocianti, non carrabili, nei cortili,
sull’aia, sotto balaustre o balconi addobbati di garofani e rose, tra
portoncini, scalette e portelle, negli androni infossati sotto spicchi
di cielo azzurro e bucato sciorinato al sole. Addio! Le tecnologie
industriali da multinazionale vi braccano,
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come i nazisti i poveri ebrei e, afferrate, vi
sopprimono, come cose inutili, anzi dannose. Care, vetuste, cupe botteghe
tipografiche, con buona pace di Senefelder, dove i camici neri seraiani
digru- mavano la colazione meridiana con nient’altro companatico che
peperoni arrostiti e cime di rapa, sbirciando dall’uscio della bottega
con quel sorriso d’intesa tra colleghi, pacato ed ebete, le compaesane
sulla strada, dagli occhi svampiti e il colorito roseo, sempre copiose di
forme. Più in là la gaiezza puerile degli scugnizzi, eredi ideali dei
lazzaroni, sempre alla ricerca di frivolezze e nullagini per essere
felici, come i policromi rifili del tagliacarte, da utilizzare a mo’ di
coriandoli in quella lunga carnevalata che e la loro esuberante
giovinezza. Il tipografo artigiano vecchia maniera muore con la Serao, con
Marotta, con la Napoli oleografica, sostituita dalla nuova cartografia
urbana di una città ed una provincia irriconoscibili, con i falansteri
della 167 di Secondigliano, e di tante Cattedrali nel deserto dell’area
campana; con gli agglomerati caotici, densissimi di popolazione,
urbanisticamente irrespirabili, automobilisticamente infernali della
provincia mai più addormentata; con
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