A volte accade che una fortuna economica si costituisca
e si consolidi a spese e a danno di altre, formatesi lentamente nel
tempo con paziente lavoro. Tra le vittime di siffatte alterne vicende fu
Vincenzo Piscopo, che vide la sua posizione coinvolta in diverse
circostanze sfavorevoli conclusesi in un fatale colpo di grazia. Il
«Commendatore», così conosciuto all’epoca, era nato nel 1868 in
altro comune vesuviano, ma visse e lavoro a Torre del Greco, che amo
tanto da essere ritenuto Torrese a pieno diritto. Dal padre,
intelligente e dinamico commerciante di corallo, eredito il piacere di
trattare questa materia, agli inizi di provenienza solo
mediterranea.
Giovanissimo, lavorava con notevole bravura e sensibilità; poi la
costanza, la laboriosità, la fertile creatività e un innato spirito
imprenditoriale, unito ad una ardita visione del futuro del corallo, lo
portarono gradualmente a costituire quello che fu un piccolo impero. Nei
primi del ’900 egli emergeva gia nella produzione delle collane
caratterizzate da perfetta esecuzione, eleganza ed armonia.
Quando il corallo « giapponese » tentava il suo ingresso sul mercato
di Torre, il Piscopo fu uno dei primi a lavorarlo; poi, quando questo
stesso mercato, aggrappato com’era al vermiglio colore standard
del mediterraneo provava ancora diffidenza verso il «pallido rosa»,
egli, invece, ne fu affascinato. Si chiese come potesse una donna
resistere a un ornamento di cosi delicato colore, e percio acquisto da
Luigi Gentile la prima partita di «Boke», che nessuno aveva voluto. Il
risultato tecnico fu brillante, e com’egli aveva previsto, fu seguito
anche da quello commerciale. Le sue gia perfette collane con il « Pelle
d’angelo », divennero meravigliose ed uni- che, contribuendo ad
accrescere, in Europa ed in America, la notorietà di quella che,
intanto, era divenuta la «Premiata Manifattura di Corallo Rosa del
Giappone ». Successivamente, verso il 1918-19 l’intuito del
«Commendatore» gli suggerì di realizzare qualcosa di nuovo.
Era l’epoca in cui in America, in particolare negli Stati Uniti, la
moda imponeva alla donna di aggiungere un fiore al proprio
abbigliamento. Il Piscopo si chiese perché questo fiore non potesse
essere prezioso, meglio se di corallo: cosi comincio a produrre
bellissime rose (utilizzate come broche) che vennero accolte con
eccezionale entusiasmo dal mercato americano prima, mondiale dopo. L’idea,
semplice ma geniale, era il frutto di una mente insonne, risoluta a
rompere con la staticità della tradizione. Gliene derivarono in misura
sempre maggiore fama, benessere e ricchezza. Successivamente egli volle
anche accostare, per la prima volta dalle nostre parti, le pietre più
preziose al corallo, fino ad allora proposto nudo nellasua pur splendida
bellezza. Portando 1’ornamento di corallo dalla oreficeria alla
gioielleria, lavoro per i più famosi gioiellieri dell’epoca, per Case
Reali quali Aosta, Carignano, Savoia, alla quale ultima offri un
eccezionale cammeo in «Pelle d’angelo» riproducente il ritratto di
Margherita di Savoia.
Tutto questo, mentre dette a Piscopo la possibilità di fregiarsi dell’allora
ambita croce di Grande Ufficiale, a Torre procurava un accresciuto
prestigio sui mercati internazionali. Ma il «Commendatore» aveva anche
un’altra ambizione: portare il turismo nella nostra Città.
Infatti, tutto il corallo lavorato nelle nostre fabbriche, oltre che
esportato, veniva venduto nei negozi di Roma, di Firenze, di Venezia, di
Napoli a quei turisti, che da ogni Paese, affluivano nel nostro per
visitarne i centri più rinomati.
Il corallo di Torre del Greco era conosciuto in tutto il mondo e Torre
era proprio sulla strada che portava quella gente in vacanza a Pompei, a
Sorrento, ad Amalfi; perché, dunque, non fermarla qui, da noi, darle la
possibilità di acquistare il souvenir nella stessa fabbrica in
cui e prodotto e mostrarle anche come veniva lavo- rato? Bisognava fare
1’esperimento, e cosi Piscopo costruì la bellissima Villa Autilia in
Via Vittorio Veneto, ancora oggi resistente al tempo, benché deformata
nella sua "modernità".
Con una eccezionale dovizia di finissimi manufatti e un arredamento
sontuoso, egli allestì la prima Permanent Exhibition del
corallo, con annesso un Artistic Museum, inaugurata nel settembre
1924. Si tratto di un grande avvenimento sociale e mondano, non solo per
la nostra Città.
Il giornale locale «La Torre» del 9 ottobre dello stesso anno dedico
le sue pagine esclusivamente a questo evento eccezionale, riportando un
lungo elenco di importanti personalità intervenute: imprenditori,
politici, alti prelati, ecc. e tutti espressero pubblicamente eterna
gratitudine a quell’uomo non torrese. I
l successo dell’iniziativa andò al di la di ogni previsione: i
laboratori ed i meravigliosi saloni di esposizione erano costantemente
gremiti di visitatori, dei quali numerosissimi provenivano da altri
Paesi, affascinati dalla bellezza e dalla quantità di quei fini
manufatti. Intanto si cominciava a sentir parlare della costruzione di
un’autostrada che avrebbe collegato Napoli a Pompei; la solita
«molla» scatto nel cervello di Piscopo, suggerendogli la necessita di
realizzare una «Manifattura di Corallo» proprio sul fu- turo cammino
del turista, cosi da obbligarlo quasi, a fermarsi. Egli compro, quindi,
un terreno lontano dal centro cittadino, la dove sarebbe stata tracciata
quell’autostrada, che in seguito ci avrebbe portato in gran numero le
cosiddette « carovane » di turisti.
E la Piscopo volle una costruzione che, per lo stile,
richiamasse alla mente dell’americano di passaggio quello della sua
vecchia Georgia o della California, e cioè la bella «Casa bianca»,
che fino al 1963 ha ospitato la ditta Apa.
In questa nuova Coral
Manufactory i saloni erano, ancor più dei precedenti, sontuosi
eleganti, oltre che ricchi di ogni articolo in corallo e tartaruga, di
cammei di conchiglia firmati da quegli artisti divenuti poi famosi. I
laboratori, attivi e ben ordinati, in- fluenzavano i visitatori,
nazionali e stranieri, nel migliore dei modi. Era un ulteriore successo
per il « Commendato- re », che con il suo coraggio anche economico era
riuscito a portare definitivamente a Torre un movimento turistico, quale
non si riscontrava in nessun’altra città. Il tempo trascorreva con le sue vicende positive e negative; il
patrimonio familiare e aziendale del Piscopo era notevolmente aumentato,
ma, mentre prevalevano gli immobili e le merci, la liquidità era
piuttosto ridotta.
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A mettere nei guai l’imprenditore fu proprio questa
situazione; infatti, quando il mondo intero venne scosso dalla famosa
crisi del 1929, la stabilita della Ditta comincio a vacillare.
Fu quello l’inizio della fine del piccolo impero; le scarse entrate,
dovute al rallentamento del commercio e alla rarefazione dei turisti,
non permettevano di far fronte agli impegni finanziari contratti, per
cui il Piscopo veniva costretto a contrarne sempre di nuovi. Seguirono
poi le «sanzioni» e la guerra in Etiopia, che dettero il colpo di
grazia all’economia dell’Italia, di Torre del Greco e, in maniera
tragicamente definitiva, di Vincenzo Piscopo.
Il blocco completo delle esportazioni ed il fermo del commercio interno,
fecero precipitare la situazione gia «controllata» da chi spingeva
perché volgesse al peggio. Nessuno tese una mano al « Commendatore »,
a parte alcuni affezionati collaboratori, che rinunciarono ad ogni
loro diritto: ma questo aiuto costituiva solo una goccia rispetto a
quanto occorreva per la salvezza.
Sulla prima pagina del giornale locale «La Torre», datato 9 ottobre
1924, e rimasto stampato: «Vincenzo Piscopo può gloriarsi di avere
scritto nella storia cittadina una pagina veramente superba: di questo
egli deve essere consapevole, perché ciò che e dato in onore al
proprio paese e sempre reso...». La nostra societa aveva in tal modo
firmato una cambiale, perché si dice, ma evidente- mente non e cosi, «
le parole volano e lo scritto rimane», quella cambiale pero non fu
«onorata» neppure di fronte alla morte, che il « Commendatore »
preferì al disonore della galera (1936). Al nome di Piscopo risale un’altra
innovazione che, pero, rimanda al padre di Vincenzo. Abbiamo gia detto
che anch’egli nel passato aveva dimostrato
intraprendenza e coraggio nell’esercizio dell’attività: coraggioso
doveva essere stato per avventurarsi, a meta dell’800, verso Malta,
dove aveva molti clienti.
Nel caso specifico si tratto di coraggio, diciamo, tecnico perché egli
fu il primo a voler sperimentare un nuovo procedimento per ridare colore
ai coralli ingialliti e «’ncuttati» provenienti dal Giappone.
Dunque, dopo che da anni i Torresi si «arrangiavano» per ovviare a
tale brutto aspetto del grezzo, arrivo a Torre una bella ragazza, una
parigina, la quale, innamoratasi nella sua patria di un «corallaro»,
volle seguirlo quando questi decise di tornare a casa.
Sempre stando ai «si dice», la ragazza venne nella nostra città
scortata dal padre, Camillo Plancqueel. I due francesi, dovendo
provvedere al proprio mantenimento, decisero di aprire un negozio in Via
Agostinale; tra i vari prodotti da vendere inserirono anche quelli usati
nella lavorazione del corallo e 1’acqua ossigenata «uso medicinale e
per capelli», che acquistavano a L. 1,20 al litro in una fabbrichetta
messa su a Resina da due giovani, Sorrentino e Gallo.
La giovane, col passare del tempo e frequentando un ambiente in cui si
parlava sempre di corallo, comincio a interessarsi al problema della «’ncuttatura»,
alla fine dovette chiedersi perché 1’acqua ossigenata usata per i
capelli non potesse servire a schiarire anche i coralli. Dopo chissà
quanti esperimenti e portando quel- 1’acqua dai 40 volumi ai 12-15
adatti ai cespi del mare, risolse il nostro grave problema. L’innovazione,
troppo azzardata per 1’epoca, trovo pochi sostenitori, e chi per primo
ebbe il coraggio di accettare il rischio della reazione del corallo
immerso nell’acqua ossigenata, fu proprio « Pi- scopo padre». il
coraggio, ma certo anche il risultato, fecero da garanti, e cosi i
torresi adottarono 1’acqua schiarente.
L’epilogo dell’intera faccenda? Il torrese fini con lo sposare la
bella intraprendente francesina, il «segreto» venne ceduto a un certo
Nitti, i cui discendenti fino a pochi anni fa vendevano nello stesso
negozio «l’acqua per coralli», e infine i coralli «’ncuttati»,
perfino nel progredito 1998, riacquistano il colore originale grazie ad
una storia d’amore vissuta molti decenni or sono. A proposito di
innovazioni ci corre 1’obbligo di ricordarne un’altra: la «rosatura»
del corallo bianco. «Rosatura», pero, non e il termine più adatto ne
il più usato, perché noi diciamo « pittato ». Comunque, anche se i
verbi sono al presente, si tratta di fatti del passato.
La cosa risale al periodo in cui il «bianco», dopo l’entusiasmo
iniziale, venne dimenticato da tutti tranne che dai Torresi, i quali,
avendone nei magazzini grandi quantità, erano preoccupati dall’assoluta
mancanza di prospettiva di recuperare il denaro
investito. Ma successe il miracolo; questa volta a risolvere un problema
casalingo non fu un marsigliese ne una parigina, bensì due Torresi.
Verso il 1908 comincio a correre voce che «Nardino» (Romualdo D’Urso,
mediatore) e «Aniello ’o pittore » (non meglio identificato)
riuscivano a far diventare rosa il corallo bianco.
Da questa voce, diffusa e accolta in città con un profondo sospiro di
sollievo, nacque la trasformazione di buona parte di quell’inutilizzabile
«bianco» in bellissimo, richiestissimo «Pelle d’angelo» nazionale.
I due ideatori, guardandosi bene dal rendere noto il procedimento, si
trovarono sommersi dal lavoro, perché non c’era possessore di bianco
che non volesse, finalmente, trasformarlo in rosa. Gli ornamenti di «
corallo pittato », essendo di colore veramente stupendo, ebbero un
successo oltre- modo soddisfacente; se ne vendettero grandissime quantità
in tutte le città frequentate da turisti, ma il centro di maggior
smercio fu Venezia. Una frode, un imbroglio commerciale? Assolutamente
no.
A onor del vero i Torresi lo vendevano
con la denominazione di «corallo pittato», anche perché
la trasformazione cromatica era temporanea e non definitiva. Ciò che i
rivenditori dicevano ai turisti non era affar nostro: noi avevamo la
coscienza pulita. Questa operazione di «rosatura», sempre limi- tata
ai soli pallini, e andata avanti fino al 1940-41, epoca in cui quelle
grosse scorte di corallo bianco vennero esaurite. Ma qual era questa
misteriosa operazione? In realtà di misterioso c’era solo una certa
polverina rossa della quale ancora oggi si ignorano i componenti. L’operazione
consisteva nel riempire di alcol un recipiente di ferro smaltato, poi,
facendola sciogliere lentamente si aggiungeva quella polverina rossa;
infine vi si immergevano i coralli da sotto- porre al trattamento.
La trasformazione del bianco in rosa richiedeva un paio di mesi, durante
i quali la mistura veniva tenuta al caldo sotto il... letto e
frequentemente rimestata: il mestolo, pero, doveva essere di
legno!
Questa fu 1’innovazione di «Nardino» e di «Aniello ’o pittore». |