Torre e il corallo   pag. 14 di 17

A volte accade che una fortuna economica si costituisca e si consolidi a spese e a danno di altre, formatesi lentamente nel tempo con paziente lavoro. Tra le vittime di siffatte alterne vicende fu Vincenzo Piscopo, che vide la sua posizione coinvolta in diverse circostanze sfavorevoli conclusesi in un fatale colpo di grazia. Il «Commendatore», così conosciuto all’epoca, era nato nel 1868 in altro comune vesuviano, ma visse e lavoro a Torre del Greco, che amo tanto da essere ritenuto Torrese a pieno diritto. Dal padre, intelligente e dinamico commerciante di corallo, eredito il piacere di trattare questa materia, agli inizi di provenienza solo mediterranea. 
Giovanissimo, lavorava con notevole bravura e sensibilità; poi la costanza, la laboriosità, la fertile creatività e un innato spirito imprenditoriale, unito ad una ardita visione del futuro del corallo, lo portarono gradualmente a costituire quello che fu un piccolo impero. Nei primi del ’900 egli emergeva gia nella produzione delle collane caratterizzate da perfetta esecuzione, eleganza ed armonia. 

Quando il corallo « giapponese » tentava il suo ingresso sul mercato di Torre, il Piscopo fu uno dei primi a lavorarlo; poi, quando questo stesso mercato, aggrappato com’era al vermiglio colore standard del mediterraneo provava ancora diffidenza verso il «pallido rosa», egli, invece, ne fu affascinato. Si chiese come potesse una donna resistere a un ornamento di cosi delicato colore, e percio acquisto da Luigi Gentile la prima partita di «Boke», che nessuno aveva voluto. Il risultato tecnico fu brillante, e com’egli aveva previsto, fu seguito anche da quello commerciale. Le sue gia perfette collane con il « Pelle d’angelo », divennero meravigliose ed uni- che, contribuendo ad accrescere, in Europa ed in America, la notorietà di quella che, intanto, era divenuta la «Premiata Manifattura di Corallo Rosa del Giappone ». Successivamente, verso il 1918-19 l’intuito del «Commendatore» gli suggerì di realizzare qualcosa di nuovo. 
Era l’epoca in cui in America, in particolare negli Stati Uniti, la moda imponeva alla donna di aggiungere un fiore al proprio abbigliamento. Il Piscopo si chiese perché questo fiore non potesse essere prezioso, meglio se di corallo: cosi comincio a produrre bellissime rose (utilizzate come broche) che vennero accolte con eccezionale entusiasmo dal mercato americano prima, mondiale dopo. L’idea, semplice ma geniale, era il frutto di una mente insonne, risoluta a rompere con la staticità della tradizione. Gliene derivarono in misura sempre maggiore fama, benessere e ricchezza. Successivamente egli volle anche accostare, per la prima volta dalle nostre parti, le pietre più preziose al corallo, fino ad allora proposto nudo nellasua pur splendida bellezza. Portando 1’ornamento di corallo dalla oreficeria alla gioielleria, lavoro per i più famosi gioiellieri dell’epoca, per Case Reali quali Aosta, Carignano, Savoia, alla quale ultima offri un eccezionale cammeo in «Pelle d’angelo» riproducente il ritratto di Margherita di Savoia.
Tutto questo, mentre dette a Piscopo la possibilità di fregiarsi dell’allora ambita croce di Grande Ufficiale, a Torre procurava un accresciuto prestigio sui mercati internazionali. Ma il «Commendatore» aveva anche un’altra ambizione: portare il turismo nella nostra Città. Infatti, tutto il corallo lavorato nelle nostre fabbriche, oltre che esportato, veniva venduto nei negozi di Roma, di Firenze, di Venezia, di Napoli a quei turisti, che da ogni Paese, affluivano nel nostro per visitarne i centri più rinomati. 
Il corallo di Torre del Greco era conosciuto in tutto il mondo e Torre era proprio sulla strada che portava quella gente in vacanza a Pompei, a Sorrento, ad Amalfi; perché, dunque, non fermarla qui, da noi, darle la possibilità di acquistare il souvenir nella stessa fabbrica in cui e prodotto e mostrarle anche come veniva lavo- rato? Bisognava fare 1’esperimento, e cosi Piscopo costruì la bellissima Villa Autilia in Via Vittorio Veneto, ancora oggi resistente al tempo, benché deformata nella sua "modernità". 
Con una eccezionale dovizia di finissimi manufatti e un arredamento sontuoso, egli allestì la prima Permanent Exhibition del corallo, con annesso un Artistic Museum, inaugurata nel settembre 1924. Si tratto di un grande avvenimento sociale e mondano, non solo per la nostra Città. 
Il giornale locale «La Torre» del 9 ottobre dello stesso anno dedico le sue pagine esclusivamente a questo evento eccezionale, riportando un lungo elenco di importanti personalità intervenute: imprenditori, politici, alti prelati, ecc. e tutti espressero pubblicamente eterna gratitudine a quell’uomo non torrese. I
l successo dell’iniziativa andò al di la di ogni previsione: i laboratori ed i meravigliosi saloni di esposizione erano costantemente gremiti di visitatori, dei quali numerosissimi provenivano da altri Paesi, affascinati dalla bellezza e dalla quantità di quei fini manufatti. Intanto si cominciava a sentir parlare della costruzione di un’autostrada che avrebbe collegato Napoli a Pompei; la solita «molla» scatto nel cervello di Piscopo, suggerendogli la necessita di realizzare una «Manifattura di Corallo» proprio sul fu- turo cammino del turista, cosi da obbligarlo quasi, a fermarsi. Egli compro, quindi, un terreno lontano dal centro cittadino, la dove sarebbe stata tracciata quell’autostrada, che in seguito ci avrebbe portato in gran numero le cosiddette « carovane » di turisti. 
E la Piscopo volle una costruzione che, per lo stile,
richiamasse alla mente dell’americano di passaggio quello della sua vecchia Georgia o della California, e cioè la bella «Casa bianca», che fino al 1963 ha ospitato la ditta Apa. 
In questa nuova Coral Manufactory i saloni erano, ancor più dei precedenti, sontuosi eleganti, oltre che ricchi di ogni articolo in corallo e tartaruga, di cammei di conchiglia firmati da quegli artisti divenuti poi famosi. I laboratori, attivi e ben ordinati, in- fluenzavano i visitatori, nazionali e stranieri, nel migliore dei modi. Era un ulteriore successo per il « Commendato- re », che con il suo coraggio anche economico era riuscito a portare definitivamente a Torre un movimento turistico, quale non si riscontrava in nessun’altra città. Il tempo trascorreva con le sue vicende positive e negative; il patrimonio familiare e aziendale del Piscopo era notevolmente aumentato, ma, mentre prevalevano gli immobili e le merci, la liquidità era piuttosto ridotta. 

A mettere nei guai l’imprenditore fu proprio questa situazione; infatti, quando il mondo intero venne scosso dalla famosa crisi del 1929, la stabilita della Ditta comincio a vacillare. 
Fu quello l’inizio della fine del piccolo impero; le scarse entrate, dovute al rallentamento del commercio e alla rarefazione dei turisti, non permettevano di far fronte agli impegni finanziari contratti, per cui il Piscopo veniva costretto a contrarne sempre di nuovi. Seguirono poi le «sanzioni» e la guerra in Etiopia, che dettero il colpo di grazia all’economia dell’Italia, di Torre del Greco e, in maniera tragicamente definitiva, di Vincenzo Piscopo. 
Il blocco completo delle esportazioni ed il fermo del commercio interno, fecero precipitare la situazione gia «controllata» da chi spingeva perché volgesse al peggio. Nessuno tese una mano al « Commendatore », a parte alcuni affezionati collaboratori, che rinunciarono ad ogni loro diritto: ma questo aiuto costituiva solo una goccia rispetto a quanto occorreva per la salvezza. 
Sulla prima pagina del giornale locale «La Torre», datato 9 ottobre 1924, e rimasto stampato: «Vincenzo Piscopo può gloriarsi di avere scritto nella storia cittadina una pagina veramente superba: di questo egli deve essere consapevole, perché ciò che e dato in onore al proprio paese e sempre reso...». La nostra societa aveva in tal modo firmato una cambiale, perché si dice, ma evidente- mente non e cosi, « le parole volano e lo scritto rimane», quella cambiale pero non fu «onorata» neppure di fronte alla morte, che il « Commendatore » preferì al disonore della galera (1936). Al nome di Piscopo risale un’altra innovazione che, pero, rimanda al padre di Vincenzo. Abbiamo gia detto che anch’egli nel passato aveva dimostrato
intraprendenza e coraggio nell’esercizio dell’attività: coraggioso doveva essere stato per avventurarsi, a meta dell’800, verso Malta, dove aveva molti clienti. 
Nel caso specifico si tratto di coraggio, diciamo, tecnico perché egli fu il primo a voler sperimentare un nuovo procedimento per ridare colore ai coralli ingialliti e «’ncuttati» provenienti dal Giappone.
Dunque, dopo che da anni i Torresi si «arrangiavano» per ovviare a tale brutto aspetto del grezzo, arrivo a Torre una bella ragazza, una parigina, la quale, innamoratasi nella sua patria di un «corallaro», volle seguirlo quando questi decise di tornare a casa. 
Sempre stando ai «si dice», la ragazza venne nella nostra città scortata dal padre, Camillo Plancqueel. I due francesi, dovendo provvedere al proprio mantenimento, decisero di aprire un negozio in Via Agostinale; tra i vari prodotti da vendere inserirono anche quelli usati nella lavorazione del corallo e 1’acqua ossigenata «uso medicinale e per capelli», che acquistavano a L. 1,20 al litro in una fabbrichetta messa su a Resina da due giovani, Sorrentino e Gallo. 
La giovane, col passare del tempo e frequentando un ambiente in cui si parlava sempre di corallo, comincio a interessarsi al problema della «’ncuttatura», alla fine dovette chiedersi perché 1’acqua ossigenata usata per i capelli non potesse servire a schiarire anche i coralli. Dopo chissà quanti esperimenti e portando quel- 1’acqua dai 40 volumi ai 12-15 adatti ai cespi del mare, risolse il nostro grave problema. L’innovazione, troppo azzardata per 1’epoca, trovo pochi sostenitori, e chi per primo ebbe il coraggio di accettare il rischio della reazione del corallo immerso nell’acqua ossigenata, fu proprio « Pi- scopo padre». il coraggio, ma certo anche il risultato, fecero da garanti, e cosi i torresi adottarono 1’acqua schiarente. 
L’epilogo dell’intera faccenda? Il torrese fini con lo sposare la bella intraprendente francesina, il «segreto» venne ceduto a un certo Nitti, i cui discendenti fino a pochi anni fa vendevano nello stesso negozio «l’acqua per coralli», e infine i coralli «’ncuttati», perfino nel progredito 1998, riacquistano il colore originale grazie ad una storia d’amore vissuta molti decenni or sono. A proposito di innovazioni ci corre 1’obbligo di ricordarne un’altra: la «rosatura» del corallo bianco. «Rosatura», pero, non e il termine più adatto ne il più usato, perché noi diciamo « pittato ». Comunque, anche se i verbi sono al presente, si tratta di fatti del passato. 
La cosa risale al periodo in cui il «bianco», dopo l’entusiasmo iniziale, venne dimenticato da tutti tranne che dai Torresi, i quali, avendone nei magazzini grandi quantità, erano preoccupati dall’assoluta
mancanza di prospettiva di recuperare il denaro investito. Ma successe il miracolo; questa volta a risolvere un problema casalingo non fu un marsigliese ne una parigina, bensì due Torresi.
Verso il 1908 comincio a correre voce che «Nardino» (Romualdo D’Urso, mediatore) e «Aniello ’o pittore » (non meglio identificato) riuscivano a far diventare rosa il corallo bianco. 
Da questa voce, diffusa e accolta in città con un profondo sospiro di sollievo, nacque la trasformazione di buona parte di quell’inutilizzabile «bianco» in bellissimo, richiestissimo «Pelle d’angelo» nazionale. I due ideatori, guardandosi bene dal rendere noto il procedimento, si trovarono sommersi dal lavoro, perché non c’era possessore di bianco che non volesse, finalmente, trasformarlo in rosa. Gli ornamenti di « corallo pittato », essendo di colore veramente stupendo, ebbero un successo oltre- modo soddisfacente; se ne vendettero grandissime quantità in tutte le città frequentate da turisti, ma il centro di maggior smercio fu Venezia. Una frode, un imbroglio commerciale? Assolutamente no. 
A onor del vero i Torresi lo vendevano
con la denominazione di «corallo pittato», anche perché la trasformazione cromatica era temporanea e non definitiva. Ciò che i rivenditori dicevano ai turisti non era affar nostro: noi avevamo la coscienza pulita. Questa operazione di «rosatura», sempre limi- tata ai soli pallini, e andata avanti fino al 1940-41, epoca in cui quelle grosse scorte di corallo bianco vennero esaurite. Ma qual era questa misteriosa operazione? In realtà di misterioso c’era solo una certa polverina rossa della quale ancora oggi si ignorano i componenti. L’operazione consisteva nel riempire di alcol un recipiente di ferro smaltato, poi, facendola sciogliere lentamente si aggiungeva quella polverina rossa; infine vi si immergevano i coralli da sotto- porre al trattamento. 
La trasformazione del bianco in rosa richiedeva un paio di mesi, durante i quali la mistura veniva tenuta al caldo sotto il... letto e frequentemente rimestata: il mestolo, pero, doveva essere di legno! 
Questa fu 1’innovazione di «Nardino» e di «Aniello ’o pittore».